L’arrivo a Buenos Aires mi ha regalato subito grosse emozioni. Sabato sera come da copione sono andato a d assistere ad una peña folklorica al Tigre che e’ una zona situata nella periferia di Buenos Aires sul delta del fiume Parana’. E’ un importante centro turístico e viene definito ironicamente “La Venecia di Buenos Aires” vista la stertta somiglianza dei vari canaletti che si insediano nel paese percorsi da vaporetti del tutto simili a quelli veneziani. In questa zona vive Mariano, un nativo che ho conoscito l’anno scorso a Tilcara nella regione di Jujuy a Nord dell’Argentina, zona molto interessante non solo dal punto di vista musicale. Mariano si e’ trasferito qui da poco e lavoracome insegnante di musica e musicista. In molte occasioni organiza peñas folklorica come quella a cui ho assisitito. un peña e’ una festa caratterizzata da ingredienti tipici del nord argentino. Musica, balli, bevande e pietanze caratteristiche. La peña si fa nella casa dove vive Mariano, ma e’ aperta a chiunque L’accoglienza che ho ricevuto al mio arrivo e’ stata delle migliori; la gente italiana gode da queste parti di una notevole stima, considerato che la popolazione argentina ha il sessanta per cento di sangue italiano. Noi qui veniamo chiamati “Tano” che appunto significa “italiano”. Cosi’ nessuno dei presenti si preoccupo’ di imparare il mio nome perche’ tanto ero gia’ etichettato. La cosa che mi colpisce maggiormente, e’ che a partecipare alla peña ci sono almeno tre generazioni differenti. il piu’ piccolo ha solo qualche mese e gia’ dorme beato, passato continuamente tra le braccia dei famliari, mentre la madre prepara in un grosso pentolone da esercito, una “sopa de lenteja” una gustosísima zuppa a base di lenticchie con trippa, pezzi di carne e verdure varie. La piu’ anziana, la simpaticissima Juana Carnelli che porta con dignita’ e disinvoltura i suoi 91 anni. Ha una folta chioma di capelli bianchi e se ne sta seduta in una panchina, masticando del pane nero. Mi avvicino, mi presento e mi dice di parlare forte perche’ non ci sente. Le dico che sono veneto e i suoi occhi neri si illuminano di gioia. Suo marito era veneziano e lei stessa aveva origini venete pur essendo nata qui. Comincia subito a parlarmi in dialetto, (quello che si ricordava), un dialetto stretto con termini che non si usano ormai piu’. E’ molto simpatica e in un momento mi racconta piu’ o meno tutta la sua vita. Le chiedo di cantarmi una canzone veneta che le cantava suo papa’ e lei comincia a cantilenare “Quel mazzolin di fiori” in una lingua che sta tra il castellano, l’italiano e il dialetto veneto. La sala comincia a riempirsi, Mariano e’ in un’altra stanza che fa prove con i suoi strumenti del folklore. Questa sera oltre a il suo trio, suonera’ un grupo di sette donne “Las Mandinga” formato da tre Charago, chitarra, tambora, violino, voce. I ritmi della “chacarera” e del “Huayno” dirigono i passi di danza e giovani, vecchi e bambini, ballano insieme al suono della musica che parla della loro tradizione. Alcuni amici cercano di insegnarmii passi, ed io, piu’ simile ad un tronco che ad una persona faccio quel che posso, cercando di mimetizzarmi tra la mischia imitandone i movimeti. Ogni passo di queste danze ha un significato ben preciso che deriva dalle vicende che colpirono questi popoli durante la colonizzazione.In breve pero’ imparo e mi lascio andare. La peña va avanti tutta la notte, la gente va e viene, c’e’ grande energia e partecipazione. Poi sul palco si aggiungono msicisti e la musica finisce per assumenre nuove forme e generi improvvisati. Gli amici fanno di tutto per farmi sentira mio agio, amche se io gia’ lo sono, e ci tengono a mostrarmi e ad insegnarmi le tradizioni di questo magnifico paese. Verso le tre della mattina i miei occhi stanchi dal viaggio decidono contro ogni proposta di negoziazione di chiudere le serrande. Mi viene destiato un bel letto nella grande casa, dove cado in un sonno profondo. Il giorno seguente sono rimasto solo io tra gli invitati e mi riunisco con tutta la famiglia a banchettare al pranzo domenicale approfittando della famosa accoglienza argentina. Si parla, si discute, ci si confronta, mi fanno domande sull’italia, sulle nostre usanze, si ride e si suona. La chitarra gira tra la tavola, mi chiedono di suonare qualcosa di tipicamente italiano. Propongo “O sole mio”; la conoscono tutti e la cantano con parole proprie.
MP3: "Huayno", genere tipico delle Ande centrali. Viene cantato in "Quechua", la lingua ufficiale dell'impero Inca, tramandata oralmente. Solo ultimamente e' stata "tradotta" in grafia.