Mi trovo a Cordoba, città al centro nord dell’Argentina. Fa molto caldo e tira molto vento. Qui c’è un’aria sicuramente più “sudamericana” rispetto allo stile europeo di Buenos Aires: con il bel centro storico, contrastano vasti quartieri ricchi e poveri, che creano i paesaggi suburbani tipici di questi paesi americani, percorsi da macchine grandi, scassate ed insolite, e qua e là, carri trainati da muli. Basta uscire dalla città per qualche kilometro per lasciarsi il cemento alle spalle e addentrarsi in zone verdi ricche di vegeazione, montagne, laghi, fiumi spettacolari. Domani spero di fare un’escursione da qualche parte perché, a dire il vero, sono un po’ stanco di gironzolae per le città. Ho bisogno di un po’ di "aires".
Al mio arrivo c’è ad aspettarmi Germàn, ragazzo conosciuto a Buenos Aires alla riunione del CAVA, che mi scarrozza avanti e indietro per Cordoba a caccia di... musica.
Domenica ho finalmente assistito a quello che avevo perso a Buenos Aires per due domeniche di seguito, causa pioggia: La Feria de los Gauchos. Per puro caso Germàn ha visto il cartello informativo sabato sera, e così il giorno dopo (non proprio di buon’ora), siamo saliti in macchina per dirigerci in un bel paesetto qui a mezz'ora di strada.
La giornata è splendida, e in un campo molto vasto, già da lontano si sentono le urla dei gauchos che incitano i cavalli a galoppare velocemente, usando una frusta di pelle.
Los Gauchos un tempo erano quelli che controllavano il bestiame e le proprietà terriere dei colonizzatori, contro gli attacchi degli indios. Oggi il Gaucho è un simbolo dell’orgoglio nazionale argentino e la tradizione di questi eroi a cavallo viene tramandata di famiglia in famiglia. Il poema epico “Martin Fierro”, considerato il libro nazionale degli argentini, narra le vicende di un gaucho disertore dell’esercito argentino impegnato contro la guerra agli indios, ed è sicuramente il poema più conosciuto, famoso e rappresentativo di questo paese.
Nel campo ci sono cavalli ovunque con gauchos tipicamente vestiti che sfilano elegantemente tra la folla. In una zona recintata si svolgono i giochi a cavallo, uno dei quali consiste nell’infilare uno stecchino, che tiene in mano il gaucho mentre corre a cavallo, in un anello che penzola da un palo situato al centro del campo.
L’atmosfera è di festa, mille bancarelle e ricche parrillas fumanti dappertutto. Vecchi e giovani brindano ovunque, i bambini si rotolano nell’erba.
La musica anche in questo caso è protagonista e parla de los gauchos. Se si analizzano i testi di molte canzoni folkloriche di queste parti, sono infiniti i riferimenti a questa cultura. Tra i vari gruppi che si alternano, parlo con il cantante dei “Cuarto Creciente”. In breve conosco tutto il gruppo che deve esibirsi tra un paio d’ore, e così ne approfittano per partecipare alla festa. Poi arrivo io e da vero guastafeste li riempio di domande sulla musica. Mi parlano dei loro strumenti e dei pezzi che suoneranno; sono molto gentili e ci tengono a farmi apprendere qualche nozione musicale. Quando parlo del progetto “Il cammino della musica”, si dimostrano soddisfatti e addirittura mi ringraziano per essermi interessato alla loro cultura musicale. Andiamo così nella stanza di uno stabile vicino e strumenti alla mano, suonano solo per me e Germàn i loro pezzi migliori, dandomi spiegazioni sulle provenienze dei vari generi e sugli stumenti autoctoni usati, il tutto facendo girare un bicchiere enorme, per meglio dire una caraffa, di Fernet Branca e Cocacola (bevanda tipica…nazionale) . In breve tempo la piccola stanza si riempie di curiosi, e così la prova diventa una specie di “concerto stretto”.
Il brano sotto è un Carnavalito Cruceño suonato da "Cuarto Creciente". Genere musicale precoloniale praticato nella regione di S. Cruz (Nord Argentina). Oggi si suona in forma antica con lingua Quechua o moderna in Castellano. ê un genere danzato.
Ho trascorso quattro giorni a Rosario, la città del litorale argentino dove, tra incontri con musicisti, miei compaesani emigrati, concerti e suonate, non mi sono fermato un istante. Rosario è una città che offre tantissimo dal punto di vista culturale, e si dice che abbia una vita musicale propria.I giovani impegnati socialmente e culturalmente sono moltissimi e la città è piena d’opportunità, spirito e iniziativa.
“Il cammino della Musica” qui è piaciuto molto e così grazie alle persone che mi aspettavano o grazie ad incontri fortuiti, in soli quattro giorni ho avuto la possibilità di fare un’intervista alla radio locale (Radio Universidaded), dove ho sfoggiato il mio castellano tipicamente italianizzato ma... efficace, e dove ho suonato con un bravissimo fisarmonicista (Roberto), ad un programma televisivo culturale di Canal 3; in quest’occasione ho utilizzato una chitarra un po’ sgangherata prestatami da Angel, un musico rockettaro conosciuto all’ostello “La casona de don Jaime”, dove alloggiavo. Senza dubbio due belle opportunità. Qui le cose succedono, e gli stimoli sono molto forti, ed il bello è che si improvvisa sempre: “Una telefonata, l’idea piace? Sì! Perfetto, facciamolo!” Un po’ meno qualità, forse, ma più grinta e spontaneità, sicuramente un mix vincente.
Foto: Radio Universidad, Studio di Canal 3
L’Italia qui è presente per il 75%. Tutti hanno un abuelo (nonno) italiano o qualche altra forma di discendenza, oltre ad italiani “puro sangue” (non so se si possa dire così), ci sono tanti emigrati qui anni or sono o da pochi giorni. Mi è capitato anche di sentire due bambini di sei e sette anni cantare TUTTO L’INNO NAZIONALE ITALIANO sotto una base hard rock…
Ringraziamenti: Agostina Zaros (giornalista, produttrice di radio e altre cose che non ricordo): mi ha seguito per cinque giorni organizzandomi tutti gli incontri e gli impegni (ad un certo punto le ho chiesto ferie). I membri dell’Associazione Famiglia Veneta per i cori, la cena e la simpatia, Roberto Rosati (gran fisarmonicista). Lo staff di “Radio Universidad de Rosario”, lo staff di Compromisso, Canal 3, Mariana del Chierico e famiglia. Angel Rock per la chitarra (www.ishtarmadam.blogspot.com), gli Amaro Lucano (canzoni italiane vecchie rifatte in versione hard hard hard rock), i ragazzi dell’ostello “La casona de don Jaime”.
Sono a Rosario, bella città nel nord est argentino a 350 Km da Buenos Aires. Conta quasi due milioni di abitanti, ma non ha nulla a che fare con il caos e la fretta della capitale argentina. Qui la vita è senza dubbio più tranquilla, la sera le strade si svuotano e la città riposa. Sale, locali e teatri offrono però una ricca programmazione culturale.
Sono stato ospite nella sede dell’Associazione “Famiglia Veneta de Rosario” dove per l’occasione il Coro Alpino di Rosario si e’ esibito interpretando le più coinvolgenti canzoni del Corpo, arrangiate dal Direttore Enrico del Chierico. Il maestro mi racconta di esser nato in Argentina, ma ha vissuto cinque anni in Italia dove ha fatto in tempo ad innamorarsi di queste canzoni che ritiene ironiche nel loro genere e ora ha la possibilità di dirigere a Rosario questo bel coro di 16 alpini… acquisiti e originali, immigrati e non. Inoltre la Familia Veneta ha il "Coro Veneto" molto conosciuto da queste parti, che interpreta canzoni italiane, venete, argentine e brasiliane, diretto dal Maestro Miguel Angel Solagna. Un chiaro esempio di iterazione culturale con mezzo musicale.
Tra il gruppo degli alpini c’è Vinicio, energico vicentino della classe 1923, divisione Julia. Mi racconta i terribili momenti della guerra, gli anni passati nei campi di concentramento, la fuga e la perdita degli amici. Riuscirono a scappare in 21 dalla Germania ma arrivarono in patria solo in 6. Nel 1946 decise di emigrare in Argentina, non tanto per aspetti economici; dice che non ne poteva più delle guerre, non voleva più saperne dell’Italia. Ora vive qui, parla il dialetto e corre nostalgico nella sala delle prove, quando sente intonare “Il testamento del capitano” dal coro che si sta preparando.
L’accoglienza che ricevo durante il mio percorso, continua a sorprendermi. Quando sono arrivato alla sede della Famiglia Veneta, ho dato una mano a scaricare da un camion, grosse botti piene di erba per fare la grappa e tutta l'attrezzatura necessaria per la preparazione; nella grande sala, con un quadro immenso di venezia, stavano imbastendo una lunga tavolata dove poi hanno banchettato in festa più di sessanta persone. Tutti venivano a conoscermi e mi chiedevano come sta l'Italia. Vorrei ringraziare Sergio Zanin che mi ha accolto alla “Famiglia Veneta” e mi ha illustrato le attività musicali e culturali dell’Associazione; Un saluto anche al Coro Abruzzese, che si impegna a divulgare la cultura musicale italiana qui a Rosario. Ancora grazie ai membri del CAVA e in particolare a Agostina Zaros e Mariano Gazzola, che hanno fatto in modo di far coincidere il mio arrivo con eventi e incotri musicali.
La noia è un sentimento sconosciuto a Buenos Aires.
Oggi ha piovuto, e così è stata sospesa la “Feria de los Gauchos” alla quale tenevo parecchio. Stavo con Mariano, l’amico di Tilcara, con Rita, una porteña conosciuta l’anno passato ed il suo consorte Pocho.
Decidiamo così di consolarci riempendoci lo stomaco con una bella Parrilla (grigliata mista della migliore carne argentina), ottimo rimedio per delusioni di ogni genere. Dopo il lauto pasto, Pocho che è un ballerino di tango e folklore conosciuto nella zona della feria (el matadero) mi porta alla "Federacion Gaucha Porteña", un edificio antico e mal ridotto, ma con un fascino speciale. Un posto come piace a me insomma. Un salone grandissimo con muri alti e finestre gigantesche, le pareti piene di stendardi, bandiere, la foto di Gardel e cianfrusaglie; una cucina traboccante di pentole, piatti e strumenti di ogni tipo, secchi per raccogliere le gocce che si infiltrano e in un angolo, poi, tre musici: Sandra, che canta tango e folklore, il signor Oscar che suona una chitarra scordata, e Lito Beinoso, un bandoneon un po’ usato.
Mi invitano a sedere, si beve il mate, si mangiano le Empanadas (la comida più caratteristica dell’argentina), si parla di musica, si ride, si scherza, si suona. Vals "Desde el Alma" di Homero Manzi cantato da Sandra.
Ieri ho imparato a suonare
la Chacarera , forse il genere piú apprezzato e suonato in argentina: ho passato la giornata a Hurlingham, una localitá a mezzora di treno da Buenos Aires, con due persone di una disponibilitá incredibile: Juan Carlo Barroso e Marina Prá. Li ho conosciuti grazie a Liliana Bocca una dei soci del CAVA. Lui gran chitarrista, lei cantante e direttrice del coro “Vocal Macedonia” di Hurlingham, ha la mamma bresciana. A fianco della bellissima abitazione che Juan Carlo ha abilmente restaurato, hanno costruito con le proprie mani una scuola dove insegnano musica, folklore e canto corale.
La scuola si chiama “Yupana” che nella lingua dei Mapuches e del Quechua indica un gioco fatto con delle pietre. Juan Carlo apre una bottiglia di buonissimo Malbek che dice di aver conservato per un momento importante e sulla tavola c’è una gran quantitá di empanadas. Discutiamo di musica per quattro ore.
La bellissima coppia, mappa dell’Argentina alla mano, mi fa un riassunto di tutto quello che bisogna sapere sul folklore argentino, le origini indigene, le influenze europee, le influenze dell’emigrazione. Questo paese è una gran “mescla” di culture differenti che fondendosi assieme hanno dato vita a generi nuovi che parlano molte lingue e racchiudono significati antichi e legati alla terra. Juan Carlo suona, mi insegna la tecnica della Chacarera (non facile) Marina mi mostra le danze, gli strumenti e canta.
Io, Marina Prá, Juan Carlo Barroso
Sto imparando molte cose di questo paese e di questa cultura grazie a persone come Juan Carlo e Marina che senza chiedere nulla in cambio, dedicano il loro tempo prezioso per donarmi preziose informazioni su musiche, usi e costumi della propria terra, con orgoglio e cordialitá. Io ne faccio tesoro, annotando tutto in schede che conservo e approfondisco quando ho del tempo libero.
Buenos Aires è il riassunto di tutta la cultura musicale Argentina, qui non si trova solo tango. Basta uscire un attimo dal centro per incontrare peñas folklorica di tutto il paese. La cittá è popolata da gente proveniente dalla provincia e mantiene le tradizione della propria zona riunendosi a suonare e danzare in postacci nascosti. Potrei restare qui e fare tutto il lavoro da Buenos Aires...peró domani me ne vado, a Rosario, piú al nord, perché ho voglia di mettermi lo zaino in spalla e di partire.
I giorni a Buenos Aires corrono via veloci, le dimensioni abnormi di questa città sembrano accorciare le ore, e così la sera mi coglie di sorpresa e puntualmente i piedi mi fanno capire che è ora di fermarsi un pochino, anche se sono riuscito a combinare un decimo di quello che mi ero prefissato di fare al risveglio. Sicuramente Buenos Aires non è la città adatta a chi ama fare le cose con calma prendendosi i propri tempi, perché qui “i tempi” sono quelli di Buenos Aires.
Inizia il fine settimana porteño e tutti si riversano negli interminabili locali della città. Culturalmente Buenos Aires offre di tutto; c'è solo l'imbarazzo della scelta: venerdì io ho scelto di andare ad un concerto di tango in uno ei locali più conosciuti di S. Telmo: il Torquato Tasso.
Noto immediatamente che il pubblico è per la maggior parte porteño (a parte il giapponese che sta seduto accanto a me e che mi racconta in una lingua aliena di essere a Buenos Aires per studiare bandoneon. Ma avete mai sentito un giapponese parlare in castellano?), ciò significa che il tango che si andrà ad ascoltare è quello vero, quello porteño, e non il cosiddetto "tango da turisti". Noto anche che l'età media del pubblico e' molto alta ed io sono tra i più giovani, anzi il più giovane é il giapponese. Parlando con delle persone in questi giorni ho capito che una delle ragioni per cui le nuove generazioni non amano molto il tango è che “non parla di loro”. Il significato dei testi e l’ambientazione non li identifica e perciò preferiscono ascoltare altre cose come musica moderna, rock, pop e... musica del folklore. Mi chiedo però come sia possibile trascurare un concerto come quello a cui ho assistito venerdì sera che, almeno dal punto di vista musicale, penso abbia mostrato uno dei generi più trascinanti, che esprime tutti i significati dei tempi moderni. Stasera suona l"Orquesta Tipica Astillero". Tre bandoneon, due violini, viola, pianoforte e contrabbasso. Prima però canterà qualche canzone Gabriela Navaro. La sala è piena e tutti stanno aspettando che lo spettacolo cominci, cenando o bevendo qualcosa. Quando le luci si abbassano, le forchette si posano per lasciare le mani libere ad abbondanti applausi. Il bello dei concerti di tango, come del resto quelli del folklore, è che il pubblico partecipa attivamente e con energia, interagendo con gli artisti, creando una sorta di “tacito dialogo” che io purtroppo, da straniero, non posso comprendere del tutto.
Posso però assistere come spettatore a due spettacoli contemporaneamente: quello degli artisti e quello del pubblico.
Un momento del concerto dell'Orquesta Tipica Astillero
14-04-07 Buenos Aires, la città del Tango.Come non approfondire un po’ questo genere musicale che ha tanto di italiano. A sfatare mitie leggende del Tango argentino è Fabio Borroni, un amico conosciuto alla riunione del CAVA di sabato. Fabio, persona disponibilissima e cordiale, è nato in Argentina ma ha origini italiane e con la madre, trevisana, ed il padre lombardo, ha fin da piccolo vissuto nel barrio del tango: el barrio de Abasto o Balvanera, ora parte dell’immenso centro di Buenos Aires, un tempo centro periferico di commercio di generi alimentari, culla del tango e ancora… quartiere dove viveva il mitico Carlos Gardel.
Fabio qui gestisce, con il fratello, un negozio di ottica. S trova in Avenida Corrientes 3340, una delle principali strade di Buenos Aires e lo hanno chiamato “OPTICA ITALVENETA”. Una caratteristica particolare di Buenos Aires è che passeggiando per la città si notano ovunque insegne di negozi, bar, ristoranti e pizzerie che portano un nome tipicamente italiano. A tratti sembra di girare per una metropoli italiana, poi il castellano dei porteños, che penetra nelle orecchie, crea un paradosso di identità e mi scaraventa di nuovo in Sud America (non che mi dispiaccia!!). Ho trascorso ben quattro ore con Fabio, che mi ha gentilmente concesso il tempo necessario, prendendosi una “licenza” dal lavoro, per donarmi preziose informazioni che difficilmente sarei riuscito a trovare. Abbandonata la sede del lavoro, siamo andati un po’ a spasso per il quartiere caratteristico della sua infanzia.
Il Mercato di Abasto, raggiungibile prendendo la linea "B" della metropolitana e scendendo a “Estación Carlos Gardel” è un edificio gigantesco, dove un tempo arrivavano carri e treni carichi di generi alimentari per venderli all’ingrosso nel piano terra, e al dettaglio nei piani superiori. Fabio racconta che andava con la madre a scegliere il pollo più grasso per poi ritirarlo dopo qualche minuto, spellato e pronto per il forno. Ora il mercato e’ diventato un grosso centro commerciale moderno, c’è addirittura una ruota panoramica all’interno che va a coprire il caratteristico orologio gigante che segnava la fine dei lavori. A tratti si notano angoli di costruzione vecchia e originale e tra i vari prodotti esposti, sono istallate fotografie suggestive che riportano i momenti significativi degli emigranti che sbarcavano a La Boca, e le immagini del lavoro nel mercato. Un museo dentro ad un supermercato!! In una zona dell’edificio, c’è la famosa piazza del “Zorsal” chiamata così in onore del soprannome di Carlos Gardel “El Zorsal Criollo”, un uccello caratteristico; qui si susseguono manifestazioni culturali, concerti di Tango e altri generi artistici. La connessione tra questo posto ed il Tango e’ fondamentale. C’e’ infatti una foto, tra le tante, che immortala uomini che ballano tra loro, e dei musici che suonano il bandoneon, poi chitarre appoggiate fianco dei banchi di lavoro.
Ecco quindi sfatata le leggenda che narra che gli uomini ballavano il Tango tra loro, in modo da esorcizzare la noia, nell’attesa di aspettare il proprio turno perincontrare la “bella” dei bordelli di Buenos Aires!! E’ vero che inizialmente il ballo era tra una coppia di uomini, ma per il semplice fatto che le donne non potevano ballare una musica che parlava di sesso, di trasgressione, di vizi e delitti, perché sarebbero state considerate delle prostitute. Stiamo parlando degli inizi del ‘900. A proposito di questo argomento, Fabio mi ha regalato due preziosi libri: “Letras de Tango” e “Todo Tango” di Josè Gabello (Ed. Libertador), dove vengono analizzati tutti i temi dei più famosi Tango, sottolineando le somiglianze di alcuni termini con i vari dialetti italiani. Il Tango quindi è nato nel mercato e nei bar di questo bel quartiere abitato da masse di genovesi e veneti (non molto raccomandato di notte) e non nei bordelli di Buenos Aires. Poi e’ stato portato anche nei luoghi della trasgressione e ha invaso tutta Buenos Aires, donandole quella indole malinconica che caratterizza questa splendida città.
Passeggiando per il barrio, Fabio mi porta a vedere quel che ormai resta del locale dove si esibì per la prima volta Carlos Gardel, uno dei più conosciuti interpreti del Tango. Ora c’e’ un edificio in costruzione…nemmeno bello. Però è stata conservata la casa dell’artista che ora è un museo e tutto intorno, gli edifici sono decorati con “il filetto” che portavano i carri e i camion di allora. Inoltre da poco è stata avviata un’opera di decorazione delle case con i temi dei più famosi tango interpretati dall’artista. Bello, ma troppo turistico per i miei gusti.
Ne avrei da dire moltissimo; le leggende che ho sentito sul Tango raccontate da vecchi ed esperti del settore sono tra le più svariate e contraddittorie. Del resto un aspetto che rende ancor più affascinate questa musica unica nel suo genere è proprio la sua inspiegabile molteplice origine.
Sotto metto un video che ho girato a Caminito, altro quartiere caratteristico di Buenos Aires. Qui si balla sempre tango tra le caratteristiche casette colorate con gli avanzi di pittura delle navi mercantili che approdavano nel vicino porto di La Boca.
Curiosità: Carlos Gardel, prima di cominciare a cantare, era molto grasso, poi trovando la sua strada si è "rilassato" ed è diventato come lo conosciamo. Le prime canzoni che interpretava erano canzoni napoletane. Partecipava al coro della parrocchia S. Carlos di Buenos Aires.
Altre foto nella sezione foto: Buenos Aires e sul sito www.viaggiscoop.it
Collegamento con Radio Vita: Venerdi 20 aprile ore 11.30.
L’arrivo a Buenos Aires mi ha regalato subito grosse emozioni. Sabato sera come da copione sono andato a d assistere ad una peña folklorica al Tigre che e’ una zona situata nella periferia di Buenos Aires sul delta del fiume Parana’. E’ un importante centro turístico e viene definito ironicamente “La Venecia di Buenos Aires” vista la stertta somiglianza dei vari canaletti che si insediano nel paese percorsi da vaporetti del tutto simili a quelli veneziani. In questa zona vive Mariano, un nativo che ho conoscito l’anno scorso a Tilcara nella regione di Jujuy a Nord dell’Argentina, zona molto interessante non solo dal punto di vista musicale. Mariano si e’ trasferito qui da poco e lavoracome insegnante di musica e musicista. In molte occasioni organiza peñas folklorica come quella a cui ho assisitito. un peña e’ una festa caratterizzata da ingredienti tipici del nord argentino. Musica, balli, bevande e pietanze caratteristiche. La peña si fa nella casa dove vive Mariano, ma e’ aperta a chiunque L’accoglienza che ho ricevuto al mio arrivo e’ stata delle migliori; la gente italiana gode da queste parti di una notevole stima, considerato che la popolazione argentina ha il sessanta per cento di sangue italiano. Noi qui veniamo chiamati “Tano” che appunto significa “italiano”. Cosi’ nessuno dei presenti si preoccupo’ di imparare il mio nome perche’ tanto ero gia’ etichettato. La cosa che mi colpisce maggiormente, e’ che a partecipare alla peña ci sono almeno tre generazioni differenti. il piu’ piccolo ha solo qualche mese e gia’ dorme beato, passato continuamente tra le braccia dei famliari, mentre la madre prepara in un grosso pentolone da esercito, una “sopa de lenteja” una gustosísima zuppa a base di lenticchie con trippa, pezzi di carne e verdure varie. La piu’ anziana, la simpaticissima Juana Carnelli che porta con dignita’ e disinvoltura i suoi 91 anni. Ha una folta chioma di capelli bianchi e se ne sta seduta in una panchina, masticando del pane nero. Mi avvicino, mi presento e mi dice di parlare forte perche’ non ci sente. Le dico che sono veneto e i suoi occhi neri si illuminano di gioia. Suo marito era veneziano e lei stessa aveva origini venete pur essendo nata qui. Comincia subito a parlarmi in dialetto, (quello che si ricordava), un dialetto stretto con termini che non si usano ormai piu’. E’ molto simpatica e in un momento mi racconta piu’ o meno tutta la sua vita. Le chiedo di cantarmi una canzone veneta che le cantava suo papa’ e lei comincia a cantilenare “Quel mazzolin di fiori” in una lingua che sta tra il castellano, l’italiano e il dialetto veneto. La sala comincia a riempirsi, Mariano e’ in un’altra stanza che fa prove con i suoi strumenti del folklore. Questa sera oltre a il suo trio, suonera’ un grupo di sette donne “Las Mandinga” formato da tre Charago, chitarra, tambora, violino, voce. I ritmi della “chacarera” e del “Huayno” dirigono i passi di danza e giovani, vecchi e bambini, ballano insieme al suono della musica che parla della loro tradizione. Alcuni amici cercano di insegnarmii passi, ed io, piu’ simile ad un tronco che ad una persona faccio quel che posso, cercando di mimetizzarmi tra la mischia imitandone i movimeti. Ogni passo di queste danze ha un significato ben preciso che deriva dalle vicende che colpirono questi popoli durante la colonizzazione.In breve pero’ imparo e mi lascio andare. La peña va avanti tutta la notte, la gente va e viene, c’e’ grande energia e partecipazione. Poi sul palco si aggiungono msicisti e la musica finisce per assumenre nuove forme e generi improvvisati. Gli amici fanno di tutto per farmi sentira mio agio, amche se io gia’ lo sono, e ci tengono a mostrarmi e ad insegnarmi le tradizioni di questo magnifico paese. Verso le tre della mattina i miei occhi stanchi dal viaggio decidono contro ogni proposta di negoziazione di chiudere le serrande. Mi viene destiato un bel letto nella grande casa, dove cado in un sonno profondo. Il giorno seguente sono rimasto solo io tra gli invitati e mi riunisco con tutta la famiglia a banchettare al pranzo domenicale approfittando della famosa accoglienza argentina. Si parla, si discute, ci si confronta, mi fanno domande sull’italia, sulle nostre usanze, si ride e si suona. La chitarra gira tra la tavola, mi chiedono di suonare qualcosa di tipicamente italiano. Propongo “O sole mio”; la conoscono tutti e la cantano con parole proprie.
MP3: "Huayno", genere tipico delle Ande centrali. Viene cantato in "Quechua", la lingua ufficiale dell'impero Inca, tramandata oralmente. Solo ultimamente e' stata "tradotta" in grafia.
Eccomi qui, sono arrivato a Buenos Aires, bella ed inquinata come l'ho lasciata l'anno scorso. Fa caldo e piove a tratti. Per arrivare in centro dall'aereoporto "Ezeiza" ho scelto il mezzo piu' economico, ossia un bus scassatissimo che ci ha messo due ore per lasciarci in panne per la strada perche' entrava il fumo di scarico dentro l'abitacolo da un buco formatosi nel vano motore. Tutti tossivano ed imprecavano cosi' l'autista ha deciso di fermarsi e farci scendere tutti... A parte questo piccolo contrattempo, ho avuto il tempo necessario per andare alla riunione de CAVA (Comitato delle associazioni venete in Argentina) presso la sede "La Trevisana" a Buenos Aires. Grazie all'invito di Marcello Carrara e del presidente Mariano Gazzola, ho potuto esporre il progetto trovando disponibilita' e collaborazione da parte di tutti i partecipanti che ringrazio di cuore. Mi hanno anche invitato a pranzare con loro e la cosa divertente e' che il mio primo pasto in America Latina e' stato tipicamente veneto: polenta e sopressa, pasticcio, crostoli... otiimo direi. Ora me ne vado al Tigre che e' la zona del rio di Buanos Aires, dove mi aspetta una peña folklorica. Quindi presto aggiornero' il blog con le prime immagini musicali. Hasta pronto!!
Un grande ringraziamento a tutti i membri del CAVA.