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Reportage ABRUZZO: I Galli di Sant'Antonio ITA - ENG

Don Don aprite è sand’Andonie, Don Don aprite è sand’Andonie! Dopo averlo ripetuto almeno in 15 case per tre giorni di seguito, questo ritornello non te lo levi più dalla testa come minimo per un mese.

17 gennaio; mi trovo a Penna Sant’Andrea (TE) "il paese più importante della provincia del mondo" come dice sempre Augusto, virtuoso bestemmiatore e riverente del santo, che tutto l’anno aspetta con impazienza questa data, scaricando la tensione sui clienti del suo bar, sito nella piazzetta del paesello abruzzese. Si tratta sicuramente del peggior bar della provincia del mondo. Se ci capitate e sopravvivete, non riuscirete più a farne a meno. Ormai è la quinta volta che in questo viaggio ci capito io, e senza eccezione ne esco con l’anima dannata e il fegato spappolato. Oggi però il bar di Augusto diventa sede della partenza dei Sandandonaijre, il gruppo che seguirò durante il rituale di questua che caratterizza la festa del Sant’Antonio Abate.   ENGLISH VERSION

Si parte ad un’ora imprecisa con un numero impreciso di musicisti; l’unica cosa precisa e certa è il freddo umido e pungente. Augusto decide un fantomatico percorso, Roberto si sfrega le mani prima di infilarle su un paio di guanti tagliati, poi scalda l’organetto suonando qualche nota e via per le contrade con la missione di benedire case, famiglie e animali domestici, cantando le gesta di Sant’Antonio Abate nella lotta contro il demonio.

Bonasera bbona ggende, che vivete allegramende; ve salute Sand’Andonie, prutettore condr’a lu Demonie. È con questi stornelli che si fanno accogliere nelle case; la gente li aspetta, sa che se non era ieri o l’altro ieri è oggi che tocca a loro. Alcuni hanno ingrassato un gallo appositamente per donarlo alla squadra; è il massimo gesto di riconoscimento al gruppo, che porta la benedizione del Santo e soprattutto l’allegria di questa tradizione. Altri preparano succulenti banchetti da offrire agli audaci missionari. Tradizionalissimi sono lu cellitte golosità a forma di uccelletti. Ad ogni famiglia si dedicano 3 o 4 canti, poi il gruppo riempie il cesto di doni, si congeda con il “Don Don” e ci si incammina (sempre più barcollanti) verso la prossima casa.


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Il Sant'Antonio è un rituale di questua che nella tradizione contadina assume notevole importanza: s’inserisce nel periodo di sosta dell’anno agricolo, quando le braccia si possono riposare in attesa di essere mosse nella primavera entrante. È quindi un rituale di buon auspicio al raccolto, alla salute degli animali domestici e alla famiglia stessa. È soprattutto un buon motivo di condivisione sociale: in una piccola comunità il rituale ristabilisce e rinforza i rapporti umani, perché è basato su un aspetto ludico-religioso, sullo scambio, sullo scherzo, sulla chiacchiera, sulla dimostrazione di attenzione ed affetto.

L’aspetto pagano e quello religioso si fondono assieme e rendono più umano il soprannaturale e contemporaneamente più trascendente l’umano. Gianfranco veste il saio e interpreta Sant’Antonio. Mi racconta la leggenda, trasmessa da Atanasio, di questo santo nato in Egitto e fautore di una vita di rigoroso ascetismo. Nell’iconografia viene sempre rappresentato con un maialino al suo fianco. Erano infatti gli Antoniani che con il grasso del maiale curavano le epidemie del “fuoco di Sant’Antonio”. Il periodo del calendario in cui è collocato il santo coincide con quello di altri rituali contadini come la macellazione del maiale, l’accensioni di fuochi nel solstizio invernale e così Sant’Antonio diventa protettore degli animali domestici e di alcune malattie. In molte stalle è ancora usanza appendere l’icona del santo.

Questo rituale che era in pericolo di estinzione, pare oggi essersi rinvigorito; per le contrade non è raro incontrare altre squadre di bambini muniti di ddu bbotte (organetto a due bassi) e battafoche (tamburo a frizione); è sintomo di rivitalizzazione di una tradizione rivestita di codici sociali odierni, forse spinta dal bisogno sempre più crescente di una ricerca di identità.

È ormai notte quando i Sandandonaijre hanno finito il loro giro. Anche quest’anno si può urlare il missione compiuta. La macchina di Augusto è piena di galli dannatamente immobili. Verranno divorati dal gruppo fra qualche mese (quelli dell’anno scorso li ho digeriti anche io). I nostri fegati gridano pietà ma il cuore è leggero e aspetta il prossimo Sant’Antonio.

Nel frattempo il peggior bar della provincia del mondo rimarrà come il cuore di chi lo gestisce e lo frequenta, sempre aperto.

Ringraziamenti: a tutti i galli sacrificati, a Lj Sandandonaijre al bar di Augusto ma soprattutto ai suoi vocalucci, a Tonino Fabri sindaco di Penna, a Gianfranco Spitilli (http://bambun.webnode.com) al suo campanaccio, a Antonio la sua famiglia e il loro ristorante Zà Beata, che ci hanno ospitato e ingrassato nei nostri momenti peggiori.

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