Il 25 maggio in Argentina è festa nazionale, si celebra l’indipendenza dal potere spagnolo e il primo governo argentino. Ogni città festeggia questo giorno più o meno allo stesso modo: al mattino nella via principale sfilano le varie sezioni dell’esercito, le comunita de los gauchos con i loro cavalli, le scuole e le comunita di immigrati davanti al palco delle principali autorità della città. Poi si dà il via ai festeggiamenti con concerti di folklore, parrilas e attività all’aria aperta (tempo permettendo). Tutti i ristoranti servono locro: una zuppa di vari tipi di carne, mais, patate, manioca e chi più ne ha più ne metta. Una vera delizia, anche se un po` pesante.
Io festeggio a Resistencia, una città della regione del Chaco, distante un ponte da Corrientes. Arrivo a qui grazie a Margarita Bussolon (Presidente della comunitá dei trentini), che mi invita a visitare la città perché dice che qui c’è una forte presenza artistica italiana. In questi giorni quindi faccio la spola tra Corrientes, per introdurmi nel mondo del Chamamè, e Resistencia, per incontrare i miei compaesani. Margarita è un’ottima organizzatrice, e in due giorni mi presenta tutti i rappresentati delle comunità, mi fa uscire su due periodici della zona, mi fa incontrare il Viceconsole d'Italia Pablo Posanzini, che ringrazio per il tempo concessomi, la sotto segretaria alla cultura e il direttore del teatro principale di Resistencia. Tra le moltissime iniziative a sfondo italiano organizzate dalle comunità di Resistencia, un importante spettacolo “Resistiendo en Resistencia: vita speranza” con la regia di Javier Luquez Toledo. Sono stato invitato ad assistere alle prove, lo spattacolo tratta dell’immigrazione e dell’influsso di essa nella tradizione argentina. È una sorta di musical con molta musica italiana, al quale partecipano piú di trecento persone, tra attori, cori e ballerini. Moltissimi fanno parte delle associazioni italiane.
A Corrientes ho incontrato un grande del Chamamé: Pocho Roch. Qui é considerato come il “supremo” di questo genere. Il contatto l’ho avuto sempre grazie al sig. Lopez.
La casa di Pocho è un autentico archivio musicale. Ha cinquant’anni di ricerca alle spalle: registrazioni in campo, documenti importanti, libri originali dell’epoca delle missioni gesuitiche e francescane, tutto catalogato per tipologia e data in cassetti ben ordinati. Pocho mi ha regalato tre ore del suo tempo, ma servirebbe fermarsi sei mesi solo qui, nella stanza della sua casa. Anche lui come José Castro di Concepción (vedi post: Chiama Rita a Concepción), non si esibisce più da tempo per motivi di salute, e anche questa volta sono riuscito (senza nessuna supplica) a fargli imbracciare la chitarra e a farmi suonare qualcosa. Nonostante la mancanza di esercizio, il risultato è a dir poco soddisfacente. Ascoltare per credere.
“Pueblero de alla ité” si chiama il Chamamélento che metto qui sotto. È una composizione di Pocho Roch. Questo genere è tradizionalmente suonato con chitarra e accordeon o bandoneon. Pocho non è assolutamente tradizionalista, come invece si è rivelato essere José Castro di Concepciòn, e per le sue composizioni usa strumenti non caratteristici, come ad esempio il pianoforte digitale, utilizzato con vari timbri elettronici. Dice che questi riproducono in chiave moderna gli strumenti scomparsi degli aborigeni. Si possono ascoltare inoltre, in questo pezzo, influenze nettamente jazzistiche nell’armonia e nel “tocco”, anche se il ritmo rimane quello dei 6/8 del Chamamé. A tratti Pocho suona il giro armonico in modo tradizionale, ossia senza arpeggiare, e così il pezzo riacquista improvvisamente tutto il suo carattere folklorico. Le opionioni sulle origini di questo genere, sul significato del suo nome, sulle influenze delle musiche in esso, sono moltissime, tanto che gli etnomusicologi più conosciuti dispensano teorie il più delle volte contrastanti. C’è per esempio chi sostiene, senza fare nomi, che il primo Chamamé risalga al 1930, quando invece Pocho mi ha mostrato un articolo di una rivista di Buenos Aires (datata 1821) che parla già di questa musica. Sembra che il termine derivi dell’idioma Guarani (vedi articolo sotto) e che quindi abbia più di mille anni, ma anche le teorie sull’origine del nome sono moltissime e confuse. Del resto molti Chamamé sono scritti in questa lingua. È un idioma complicato, ma se lo si analizza, si scopre che è molto poetico. Pocho dice che lo spagnolo è ben distante dal raggiungere il livello poetico di questo idioma antico. Come la Chammarrita (vedi post sotto) e tutte le canzoni del litorale, anche il Chamamé parla di ciò che ha a che fare con il Rio, la gente di queste parti ed il loro carattere.
Colgo l’occasione per ringraziare tutte le persone che ho incontrato in questi giorni e soprattutto Margarita Bussolon. Più foto su: http://www.flickr.com/photos/ilcamminodellamusica/ CLICCA SU "STORICO" per visualizzare gli articoli precedenti; Klicca sobre "STORICO" para mirar otros articolos