23-01-11 Iztapalapa, Mexico City. E' il mio compleanno, e quest'anno lo festeggio in un modo veramente speciale. Tanto per cominciare qui in Messico quando una persona compie gli anni, non deve pagare da bere a nessuno, sono gli altri che pagano la festa, e questa mi pare una bella tradizione; poi è usanza ingaggiare un gruppo di mariachi che cantino al festeggiato la canzone adatta a questo momento . Non si tratta della comunissima e banalissima "happy birthday"; è una tradizione mexicana, adottata anche da altri paesi dell'America Latina, cantare "Las Mañanitas" un pezzo molto dolce e lento (testo e musica nel video). La versione più conosciuta è quella cantata da Pedro Infante il mariachi più conosciuto in Messico nel film "Nosotros los pobres"
Nella cultura messicana è molto importante il festeggiamento della maturità femminile ai 15 anni (per questo il cantante del video ironizza su questo numero); questo rituale di iniziazione sociale, affonda le sue radici nelle società preispaniche e simboleggia l'entrata della festeggiata nella vita adulta.
Los Mariachis non son facili da "spegnere" e la loro energia è contagiosa; e così dal pezzo del compleanno si passa a quello del ballo fino a terminare con la melancolica "Cancion Mixteca" dedicatami in quanto Italiano lontano dal suo paese.. ma il testo non rispecchia molto il mio stato d'animo attuale. VERSION EN ESPANOL - ENGLISH VERSION
Chula, Sambade roda, Samba carioca:tre generi musicali che tanto si assomigliano e legano insieme il sapore ed il carattere di tutto il Brasile. Una musica che tutto il mondo apprezza, conosce ed invidia, che si esprime attraverso l´energia del ritmo sincopato, la saudade del canto e la sensualità del ballo. Una musica che affonda le sue radici nell´Africa nera e cresce il suo carattere in terra brasiliana con il canto degli schiavi.
A spasso per le bancherelle di Santo Amaro da Purificação, scopro con Roberto Mendes le origini del Samba in un paese che ha saputo trasformare la miseria in una cassaforte di ricchezza culturale e musicale. Roberto dice: "Santo Amaro da Purificação è una una famiglia, io penso che sia l´unico posto dove la miseria è stata generosa... perché abbiamo grandi canti e cibi gustosi. Chi potrebbe farne, di orecchie, pelle e piedi di porco, un piatto buonissimo se non la necessità? Solo la necessità può creare una cucina buona come quella del Reconcavo bahiano. Così nasce la fajoulada bahiana, inventata dagli schiavi che mescolavano tutto quello che i bianchi scartavano. Il cibo determina la cultura di un popolo ed il canto di questo popolo è la Chula". ENGLISH VERSION - VERSIÓN EN ESPAÑOL
FONTI STORICHE: La Chula è considerata l'antenata del Samba tradizionale come tutti i generi brasiliani, è il risultato di un sincretismo di differenti culture musicali. Nel XVI secolo i Portoghesi cominciarono a deportare nella cosiddetta Regione di Reconcavo Bahiano, che comprende solo poche città dello Stato di Bahia, tra le quali Santo Amaro da Purificação, i primi schiavi dall’Angola, fautori della cultura Bantu. Nel XVIII secolo fu la volta degli schiavi sudanesi della cultura Beni. La mistura di queste due culture africane, con quella portoghese ed in parte con quella indigena della zona, dette origine alla Chula Aldea Portoghese, che è un canto di lavoro usato nei campi di canna da zucchero e durante le feste che gli schiavi facevano dopo le dure ore di lavoro forzato. Una ricchezza musicale generata dalla povertà e dal lavoro di un popolo che aveva canto e ritmo nel sangue ed era capace di tradurre ogni movimento di lavoro in un ritmo, ogni lamento in un canto. Alcune fonti dicono che è la chula che poi ha originato il Samba Carioca, grazie alle migrazione dei neri bahiani a Rio de Janeiro nel secolo XIX.
LA CHULA: per Roberto Mendes la Chula è un "comportamento tradotto in canzone".Le parole trattano di amore e di natura, il ritmo è vivace e sincopato, il ballo è travolgente e sensuale ma nello stesso tempo elegante. Un giorno chiesi a Roberto come parole, ritmo e danza di questo genere possano essere così allegri, visto che sono il frutto di molte sofferenze, di ingiustizie e di una vita miserabile persa a lavorare per il padrone colonizzatore. Roberto mi rispose semplicemente, come se dovesse dirmi la cosa più ovvia al mondo: “Il Popolo africano è un Popolo che non rinuncia all’allegria e vive il sentimento di tristezza in una chiave differente rispetto ad altri popoli. La Chula si crea dalla necessità di cantare per il mantenimento di questa allegria”.
GLI SCHIAVI DURANTE LE FESTE CANTAVANOcanzoni in omaggio a quelle donne che creavano, assieme agli strumentisti, un cerchio, al centro del quale una alla volta si esibivano al ritmo di Samba. Da qui il termine “Samba de Roda” che letteralmente significa “Samba in cerchio”. Roberto mi dice che un tempo la Chula era ballata solo dalle donne, e la regola vuole che si danzi solo quando si suona, mentre quando si canta si accompagna il canto con il battito delle mani. Oggi sembra che non si badi più a tutti questi dettagli, e così, Chula e Samba de Roda, sono spesso associati in un’unica danza.
L'MP3 QUI SOTTO è UNA CHULA DO RECôNCAVO scritta da Roberto Mendes e suonata con il gruppo "Roberto Mendes & Coisa de Pele": Roberto Mendes (violão), Arinaldo Nascimento (Rebolo), Sinho do Cavaco (cavaquinho), Dagmar Ferreira (repinique), Didhe Prado (pandeiro). Si intitola Linda Morena. Roberto Mendes è considerato come uno dei più stimati compositori e chitarristi brasiliani degli ultimi venti anni. È profondo conoscitore della tradizione musicale della sua terra natale. Robero è l´unico chitarrista brasiliano che usa una particolare e complicata tecnica per suonare la Chula do reconcavo e la Samba de roda. Ha scritto pezzi e collaborato con artisti molto conosciuti come Gal Costa, Caetano Veloso, Paulinho Boca. Viaggia costantemente per America ed Europa, ma sempre non vede l´ora di torare nella sua bella e semplice Santo Amaro da Purificação.
IL SOGNO: Il titolo impronunciabile di questo articolo è il nome della prima comunità indigena che ho avuto la fortuna di visitare in Brasile. Questa esperienza corona un sogno da tempo riposto in un cassetto: registrare in campo la musica di una tribù indigena. In Paraguay ero vicino a farlo, ma una serie di coincidenze sfortunate mi ha impedito di visitare una comunità Ayorea; poi arrivo a Santo Ãngelo in Brasile e, senza aspettarmelo, ecco un'opportunità servita su un piatto d'argento: Claudette, insegnante di storia dell'arte all'università di Santo Angelo, ha lavorato molto tempo con una comunità Guarani ed è un'esperta di questa cultura. "BOFF, Claudette. "A IMAGINÁRIA GUARANI: O ACERVO DO MUSEU DAS MISSÕES", Santo Ângelo (RS)-Brasil: Centro de Cultura Missioneira -CCM/URI, 2005" è il libro che ha scritto a riguardo. ENGLISH VERSION .
L'ACCETTAZIONE: avere accesso a questa comunità non é cosí semplice, bisogna essere "raccomandati" da qualcuno che é familiare alla sua gente. Gli indios ancora radicati in comunità distanti dalla città, sembrano per ragioni secondo me ovvie, diffidare dell'uomo bianco o meglio di un rappresentante di una società moderna e di una cultura che in passato si è imposta violentemente, obbligandoli ad una conversione forzata. Pare che l'opera di evangelizzazione continui ancora oggi: l'indio con il quale sarei dovuto andare a visitare la comunità Ayorea in Paraguay, mi ha informato del fatto che nel suo villaggio operano due missionari nord americani che hanno il compito di convertire, con metodi abbastanza infantili, le credenze ayoree al cattolicesimo. Non voglio però dilungarmi troppo su questo argomento, perché non ho avuto la possibilità di verificare o meno l'esistenza di questi missionari. Mi limiterò a raccontare la mia brevissima esperienza in questa comunità Guarani, augurandomi che non sia l'ultima, visto che ciò mi ha dato l'opportunità di rasentare solo la parte più superficiale di questa cultura così affascinante, la madre indigena della maggiorparte delle musiche che ho inserito in questo blog fin ora. Quello che racconteró saranno quindi solo le impressioni di un visitatore occasionale.
Ho saputo di molti etnomusicologi ed antropologi che per anni hanno studiato sul campo le tradizioni di questo popolo, ma ai quali non è mai stato permesso di partecipare ad un loro rituale religioso. Mi ritengo perciò fortunato per aver assistito ad una loro dimostrazione musicale programmata solo per me. .
LA COMUNITA' : è situata nel municipio di São Miguel a 50 Km più o meno da Santo Ãngelo. Raggiunto il centro del piccolo paesello, bisogna inoltrarsi per 40 Km all'interno della selva brasiliana. Tramite Claudette ottengo dall'università di Santo Ãngelo una macchina ed un accompagnatore, in cambio di una breve esibizione musicale. La proposta mi pare più che vantaggiosa e così accetto senza riserve.
STRANI ANEDDOTI: durante il viaggio Luis Octavio, lo storico che mi accompagna per l'occasione, mi racconta aneddoti curiosi e talvolta abbastanza sinistri sulle usanze di questa comunità. Quella che mi ha colpito di più è la credenza per cui, in caso di parto gemellare, debba avvenire il sacrificio di uno dei due neonati e più precisamente di quello che incorpora la parte malvagia dello spirito che si è diviso tra i due neonati... oggi il sacrificio non si fa più, ma il neonato sfortunato dovrà essere affidato ad altri.
L'INCONTRO: Claudette ha preparato delle borse con dentro abiti pesanti ed una scatola di carne da donare alla comunità come ringraziamento per accettarmi. Dopo kilometri di semistrada sterrata, arriviamo nel piccolo villaggio indios nel mezzo della natura brasiliana. Il paesaggio è sconfinato e suggestivo. I bambini sembrano essere spaventati dal nostro impulsivo arrivo con l’auto e corrono al riparo dentro le capanne costruite in paglia e fango. Erano belle e avevano l’aria di essere lì da molto tempo, vista la curva concava che creava la linea del tetto ceduto. Gli strumenti sono già pronti, accatastati sopra un Bongo. Tra questi, strumenti di origine europea come la chitarra ed il violino, ad indicare un sincretismo musicale tra le due culture. Scendiamo dall'auto e salutiamo. I bambini sono ancora nascosti nelle capanne, gli sguardi dei loro occhi neri spuntano da dietro le finestre o di traverso dallo stipite delle porte cercando di studiare lo straniero, poi escono timidamente dal rifugio e mostrano i loro sorrisi bianchissimi su un faccino tutto scuro e sporco. Arriva Floriano, il Cacique del villaggio, o meglio l´ex Cacique. Ora il "trono" è passato a Nicanor. Purtroppo Luis, non era a conoscenza di questo cambio e questo dettaglio ha procurato durante la visita una serie di malintesi che ci hanno costretto ad abbandonare la Comunità prematuramente. L´impressione che abbiamo avuto io e Luis, è stata che il nuovo capo, non sentendosi considerato come tale, abbia deciso di tagliare corto per farci andare via.
IL VILLAGGIO: è veramente fatto di poche cose. Qui vivono in più di duecento, in agglomerati di casupole sparse su una vasta zona pianeggiante. A fianco di una capanna, un fuoco fatto con cinque tronchi incrociati è in ardente attesa della carne che abbiamo portato in segno di ringraziamento. Le capanne non hanno né bagno né acqua, per cui bisogna fare un po' di strada per incontrare un pozzo. Sono entrato in una capanna: l’interno era povero, con amache e mille amuleti e pezzi di artigianato appesi al soffitto. Tra tutta questa "povertà" un dettaglio abbastanza sconvolgente: dietro una delle abitazioni è sistemata una grande antenna parabolica... un’autentica visione paradossale che sbriciola l'aspetto affascinante di questo villaggio, inoltre qualche abitante è provvisto di cellulare. Floriano chiama il gruppo e dice di accordare gli strumenti. Subito accorrono tutti i bambini della Comunità e si mettono in riga rivolti verso di me, che preparo emozionato i mezzi di registrazione.
LA MUSICA: La musica è sempre la stessa, cambiano solo le parole. I bambini fanno dei passi di danza che mi fanno sorridere. Cerco di imitarli, unendomi al movimento, ma distrattamente imito i passi della danza femminile e così tutti mi guardano imbarazzati e ridono. Ad ogni pezzo, Floriano mi spiega il significato della musica e delle parole, e le fa scrivere sul mio taccuino da un ragazzino che sa leggere e scrivere. Sebbene non sia più il Cacique, tutti lo rispettano e fanno quello che lui dice. Quando rivolgo delle domande a qualcuno, bisogna attendere l´autorizzazione del Cacique per poter rispondere; tra loro parlano in Guaraní..
LA LIBERTA': Dopo l'esibizione, comincio ad entrare in confidenza con gli abitanti del villaggio, e i bambini mi si “appiccicano addosso” toccandomi da tutte le parti e scappando via ridendo quando cerco di comunicare con loro. Ci sono molte donne delle quali non riesco a decifrarne l'età perché hanno una fisionomia veramente particolare. Ci sono due mamme che allattano: una sembra avere poco più di 15 anni, ma potrebbe averne benissimo 35. Tutti sono molto incuriositi dalla mia presenza, mi regalano grandi sorrisi quando gli sguardi si incrociano; tranne una donna dagli occhi di un colore indefinito, con un'espressione di profonda tristezza che mi ha molto colpito. Questa Comunità vive del bestiame che alleva nelle immense praterie circostanti e dell'artigianato i cui manufatti vengono prodotti con materiali naturali come resine, penne di uccelli e semi, per poi venderli nei mercati delle città vicine. Alcuni pezzi sono delle vere e proprie opere d'arte. Vado un po' in giro con Floriano che mi fa vedere la scuola, l'ambulatorio, il porcile, gli animali allevati. Mi spiega che questa Comunità proviene dall'Argentina ed è seminomade. In determinati periodi dell'anno lascia il villaggio per tornare in Argentina oppure in Paraguay, dove ci sono altri parenti. Floriano conosce il portoghese e lo spagnolo e così io posso comunicare facilmente con lui. Floriano è una persona molto simpatica, disponibile ed aperta mentalmente. Mi dice che vorrebbe portare il suo gruppo musicale in Italia e che vorrebbe un microfono come quello che ho io. Mi ringrazia per esser andato a visitarli, perché per lui è importante che il mondo venga a conoscenza della loro cultura. Raggiunta la confidenza necessaria gli domando se mai potrebbe vivere in città. Mi risponde così: «No, io voglio essere libero; qui ho tutto il necessario per vivere: i miei animali, la mia casa, la mia terra, la mia Comunità. Sono felice così».
Il pezzo che metto qui sotto si intitola Kyringue i Joguerojae È una canzone della comunità guarani Tokoa Koenju. Gli strumenti utilizzati sono chitarra, violino, bongo, maracas. La chitarra ed il violino sono due strumenti europei, acquisiti dalla cultura Guarani durante il periodo dell'evangelizzazione gesuitica. La cultura Guarani vuole però che la chitarra abbia 5 corde anziché 6, ed il violino 3 corde anziché 4. Inoltre l'accordatura degli strumenti è molto diversa da quella tradizionale. La chitarra utilizza un'accordatura aperta, in modo che senza utilizzare la mano sinistra dia un accordo di tonalità minore e basterà poi farlo diventare maggiore, ponendo un dito nella prima corda sul primo tasto. L'accordatura più utilizzata è La, Mi, La2, Mi2, Do, ma non esiste un diapason specifico. Il violino imita il canto della voce prima e dopo la strofa, ed esegue un accompagnamento su due corde accordate con un intervallo di terza. Il ritmo è binario. Questo canto viene utilizzato in alcuni rituali religiosi. La danza, molto semplice, utilizza solo il movimento delle gambe e dei piedi. I movimenti dei maschi sono diversi da quelli della femmina. Non è una danza di coppia. (2007-06-11)
IL TESTO: Kyringue i joguerojae o yvy porã ka aguypora ndoguerekovei ore rovy a iaguã ore rovy a iaguã
I bambini piangono insieme e si dispiacciono per la buona terra che non posseggono più, per la nostra felicità, per la nostra felicità...
Un fenomeno musicale capace di sbalordire il mondo intero e che ora tutti cercano di imitare;un progetto culturale che prende forma a partire da un progetto di recupero sociale; un concetto evoluto di orchestra che ha abbattuto le polverose barriere classiste della musica, aprendo le frontiere tra classico e popolare.
FESNOJIV (Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela), chiamato più semplicemente e familiarmente da chi ne fa parte “Il Sistema”, è un metodo di educazione musicale nato a Caracas da un’idea del musicista ed ex ministro della cultura Josè Antonio Abreu, convinto che il Venezuela avrebbe potuto suonare agli stessi livelli dei musicisti europei e che la musica debba essere un elemento di sviluppo sociale ed una questione di «maggioranza per la maggioranza».
Il sistema, che quest’anno compie 32 anni, è ora diffuso capillarmente nei quartieri popolari di tutto il Venezuela, ed è stato capace di creare formidabili talenti che, giovanissimi, sono in grado di confrontarsi con grandi orchestre, come nel caso di Gustavo Dudamel, che all’età di 26 anni è salito sul podio della Scala, o di Edicson Ruiz, contrabbassista che a diciassette anni diventa il membro più giovane della Filarmonica di Berlino. Sir Simon Rattle, sceso dal podio del teatro “Teresa Carreño” di Caracas, afferma emozionato che il futuro della musica classica è in Venezuela.
La strada che conduce alla sede principale del sistema è a tratti oscurata dall’ombra dei barrios, che imponenti e minacciosi sembrano regnare dalle montagne la capitale venezuelana, considerata una delle città più violente del America Latina. Leonardo Dean, abbassando la testa per allungare meglio lo sguardo, mi indica dal finestrino della sua auto i punti più pericolosi di Caracas e racconta crudi aneddoti poco rassicuranti. Spiega che è proprio lì che il sistema vuole arrivare, lì dove la vita è difficile e le speranze di un futuro onesto sono ridotte quasi allo zero. Il sistema vuole offrire un’alternativa a migliaia di ragazzi facili preda della delinquenza, portando la musica classica ad una dimensione popolare, facendola suonare anche in zone “poco tranquille” della città. Ciò non significa che il sistema sia indirizzato ai soli quartieri poveri, «è aperto a tutti, qui dentro le classi sociali scompaiono e si fa parte di una grande famiglia, il ragazzo ricco suona a fianco di quello povero, lo aiuta, e viene a sua volta aiutato».
Dean è uno dei primi beneficiari di FESNOJIV: suona il fagotto dall’età di 11 anni, quando il maestro Abreu creò uno dei primi “nuclei” del sistema in una città dell’interno del Venezuela e vi mandò ad insegnare i professori che suonavano nella “Orquesta Simon Bolivar”. Oggi di nuclei ne esistono più di 140 sparsi in tutto il territorio venezuelano e coinvolgono più di 250.000 musicisti.
Ora Dean ha 41 anni e confessa che il sistema ha cambiato e salvato la sua vita. Diventò membro attivo dell’orchestra sinfonica venezuelana e direttore del “Conservatorio Simon Bolivar”, la meta del nostro viaggio fra i barrios di Caracas.
All’entrata dell’edificio cerco di non intrappolare l’attività frenetica dei ragazzi che corrono in tutte le direzioni, in modo da raggiungere l’aula della prossima lezione. Tutti passando trovano comunque il tempo per fermarsi a salutare Leonardo. Qua e là i ragazzi, con i loro strumenti, si cercano uno spazio per provare ancora una volta il fraseggio prima della prova orchestrale. Sono tutti molto giovani e l’aria che si respira non ha nulla a che fare con quella “bacchettona” di molti dei nostri conservatori; dalla porta aperta di una stanza escono le note jazzate di un ensemble di fiati e percussioni. Nei lunghi corridoi sono sistemate, una a fianco all’altra, delle cabine simili a quelle del telefono ma più grandi, tanto da farci stare un pianoforte verticale. Insonorizzate all’interno, permettono lo studio individuale. Un ragazzo sta improvvisando con una tromba su un famoso tema di merenguevenezuelano. Lo raggiungo e dopo averlo ascoltato un po’, applaudo e gli stringo la mano: è Edgar, un ragazzo di 22 anni che vive a “El Guarataro”, uno dei barrios più pericolosi di Caracas dove si vive tra morti violente e traffico di droga. La maggior parte dei suoi amici ha già perso la vita o è entrato nel giro della delinquenza, «ma ce ne sono 5 o 6 che fanno parte del sistema». In realtà Edgar si sta formando in trombone, (lo strumento glielo fornisce il sistema), ma mi confessa di essere arrivato tardi il giorno dell’audizione per tromba e così si trova tra le mani un ottone un po’ più grande; suona la tromba in una orchestra che fa musica popolare. Mi confida che ora nel barrio è considerato una specie di star e che quando lo incontrano per strada più o meno tutti lo trattano con grande riguardo.
Si aggiunge alla conversazione Luis. Ha 16 anni e viene da una famiglia benestante dell’interno del Venezuela; con l’aiuto della famiglia e con una borsa di studio del sistema riesce a vivere a Caracas per studiare clarinetto.
«Nel sistema siamo tutti uguali e abbiamo le stesse opportunità, non esistono discriminazioni e siamo tutti molto amici». Entrambi hanno il rispettivo insegnante, ma sono a loro volta dei maestri per i ragazzi più giovani, «ma non si tratta di fare lezione bensì di compartire la conoscenza». Hanno grande stima del maestro Abreu, dicono che sia suo il merito della riuscita del sistema, «perché è una persona colta e fa le cose con amore (…) Tutti lo conosciamo e lui conosce ogni musico del sistema. Quando i ragazzi lo salutano hanno paura che non si ricordi di loro, perché conosce così tanta gente, e invece lui si ricorda di tutti e sa da dove arriva ognuno di noi». I ragazzi mi rivelano che succede quando escono dal loro paese che si rendano conto di essere veramente fortunati, perché «ci sono altre parti del mondo dove tutto questo non accade».
Il segreto del metodo sta nella quasi totale abolizione della lezione individuale a favore di una precoce pratica orchestrale. Il bambino a cinque o sei anni suona già nella sua prima orchestra di flauti; a sette comincia a familiarizzare con lo strumento scelto ed in breve tempo suona nella prima vera e propria orchestra del sistema: la “Preinfantil”, poi arrivano in progressione la “Infantil” e la “Jovenil”. Stare in gruppo fa sì che il bambino non apprenda solo quello che insegna il maestro, ma anche quello che vede fare da un amico più grande ed esperto al suo fianco, si creano così imitazione e sana competizione, ed il gruppo cresce a velocità formidabile.
La lezione individuale serve solo per correggere le parti orchestrali o per insegnare l’armonia e la teoria della musica. Anche in questo caso però il metodo è capovolto: il compito dell’insegnante è quello di spiegare ai ragazzi non quello che andranno a suonare, bensì quello che già stanno suonando. «Inutile insegnare loro cosa sia una minima o una semiminima, i bambini arrivano in classe che già suonano una sinfonia di Beethoven!» mi spiega Leonardo Dean. Questo per quanto concerne l’aspetto tecnico del metodo, ma secondo il Maestro Josè Antonio Abreu, che ho la fortuna di incontrare nella sede del “Parque Central de Caracas” l’orchestra è molto più di una semplice formazione musicale, è una comunità, ed è «l’unica comunità che si costituisce con l’obiettivo di concertarsi per generare bellezza»: nel sistema si impara a conoscere il codice della squadra e del gruppo, dove ognuno è responsabile e indispensabile per l’altro. Oltre alla musica, i giovani apprendono i valori sociali della solidarietà, dell’amicizia, del rispetto e dell’armonia. L’orchestra diventa un sistema che si esprime con il sublime.
Chiedo al maestro Abreu se sia soddisfatto dei risultati ottenuti in questi trentadue anni di attività del sistema. La risposta è netta ed eloquente: «Abbiamo appena cominciato».
Il giorno seguente mi sposto nel Estrado Bolivar de Venezuela. Destinazione Puerto Ordaz sede di uno dei “nuclei” del sistema. Mi riceve il direttore Edgar Pronio che mi da altre indicazioni riguardanti il metodo FESNOJIV e mi accompagna a visitare la realtà del sistema guayanese. L’edificio è grande 1200 mq. qui si esercitano 1300 ragazzi. È un vero trambusto di suoni provenienti da tutte le direzioni e di ragazzi di tutte le età che si spostano in fretta raggiungendo la propria postazione in orchestra o nelle classi. Queste ultime però a differenza della sede di Caracas, non sono sistemate su stanze, ma nei diversi angoli o spazi vuoti del grande capannone. In una si fa lezione di teoria con i più piccoli, poi le diverse sezioni di strumenti. Devo dire che non deve essere facile ne insegnare, ne apprendere in queste condizioni, ma a quanto pare i risultati sono sorprendenti. Tra breve si radunerà la Orquesta Infantil e i vari maestri stanno dando le ultime indicazioni melodiche alle varie sezioni. Edgar esce dal suo ufficio sale sul podio e prende in mano un microfono, sull’altra la bacchetta per dirigere il gruppo. Cominciano provando una bella Cumparsita (che un po' mi fa sentire nostalgia di Buenos Aires) che metto qui sotto.
Devo ammettere che la esecuzione di questi bambini che non superano i 9 anni, mi ha letteralmente sorpreso: dimostrano di avere molta padronanza del loro strumento, e di non farsi intimidire nemmeno nei passaggi più complicati. Certo l'espressione musicale è quella di un ragazzino ancora acerbo nell'esperienza della vita, ma l'esecuzione è piena di buona energia e nei loro volti c'e serenità, convinzione e molta allegria. Quella allegria che purtroppo non ho visto in altri volti di bambini incontrati in molte zone dell'America Latina, e spesso nemmeno nel mio paese. Quello che ho visto ed ascoltato qui in Venezuela è stato qualcosa di straordinario. A Puerto Ordaz quando ero appena arrivato in Venezuela (vedi post Unduetre Caraibi) ero stato testimone di un'altra esperienza che usa la musica come strumento di recupero sociale: quella di LARRYS SALINA che con il suo coro "Coral Infantil UNEG" ha guarito e migliorato le condizioni di ragazzi con seri problemi psico-fisici. Inoltre fa sempre parte del sistema FESNOJIV il "Coro Manos Blancas" un coro composto da bambini sordo muti che cantano con i gesti delle mani. In Brasile poi avevo incontrato quel gruppo di signore "Meminas de Sinhà" che si curavano dalla depressione per mezzo della musica (vedi post: Belo Horizonte, bela musica). Tutto questo penso faccia riflettere molto sul potenziale terapeutico e sociale oltre che artistico che può esercitare la musica su una comunità. Guardando le espressioni di questi ragazzi mentre si esibiscono e valutando i loro progressi, non si può far altro che pensare ad un miracolo; e la musica interpretata da queste espressioni acquista una forza che non avevo mai provato prima e l'emozione è veramente forte. Il miracolo di questa entità, di questo sublime linguaggio, di questa espressione di energia che è la musica.
PS: Questo articolo è pubblicato in esclusiva sul numero 89 Marzo/Aprile di "World Music Magazine" (EDT editore).
RINGRAZIAMENTI: Maestro Josè Antonio Abreu, Leonardo Dean, Edgar Pronio, I ragazzi dell'orchestra, Irma Conchita Iorio, il grande amico Fabio Annarelli.Caracas rappresenterà anche l'ultima tappa del progetto prima di fare ritorno a Buenos Aires e chiudere così il cerchio (questa volta prendendo però un aereo).
Nella metropoli capitale del Venezuela ho avuto l'onore ed il piacere di incontrare la famiglia Veneta Pozzobon composta da il capo famiglia Galliano, la mamma Rita e il figlio Willy, che qui ringrazio per avermi scorrazzato per tutta Caracas. Purtroppo il bilancio degli incontri musicali veneti in Venezuela è molto scarso, rispetto agli incontri che ho fatto in Argentina e Brasile. Sulcollegamento N.30 con Radio Vita potrete però ascoltare una simpatica intervista del sig. Galliano Pozzobon, che mi racconta curiosi aneddoti dei veneti in Venezuela e la sua storia personale di migrante.
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Da Barquisimeto ho fatto ritorno all'Estado Bolivar de Venezuela, facendo spola tra Ciudad Bolivar (vedi post: Guasa y parapara) e Puerto Ordaz (vedi post: Venezuela e...già Caraibi? ), per salutare e ringraziare amici e patrocinatori prima di dirigermi a Caracas, terminare così il cammino e tornare a Buenos Aires per concludere il progetto.
Non potevo però lasciare il Venezuela senza prima aver visitato una fra le numerose comunità indigene presenti nella zona meridionale del paese. Il Venezuela è uno dei paesi latino americani che vanta una maggior concentrazione di etnie indigene, che vengono protette e valorizzate tramite piani educativi nelle scuole e iniziative di divulgazione e mantenimento delle loro culture.
L'assessorato alla cultura del "Gobierno del Estado Bolivar" mi invita così a visitare la comunità "Mata de Tapaquire" dell'etnia Kariña, situata a metà strada tra Ciudad Bolivar e Caicara del Orinoco.
Mi avvertono che la comunità è molto "civilizzata" (si dice così) e che non avrò bisogno di portarmi via molto equipaggiamento perchè nella aldeia c'è tutto il necessario. Parto dalla stazione di Ciudad Bolivar al mattino presto per arrivare dopo tre ore di strada ad un incrocio chiamato "Cruze del Remanze", dove avrei dovuto incontrare il quesique della comunità per abbandonare la strada maestra e proseguire per una strada sterrata con una jeep. Purtroppo il bus viene fermato a dei posti di blocco dell'esercito venezuelano per dei controlli, facendomi così perdere molto tempo e quando sono arrivato alla Cruze il quesique, probabilmente credendo che non sarei più arrivato, se n'era già andato. In breve tempo ottengo così un passaggio da due gentili signori che avevano un terreno proprio vicino alla aldeia. Mi lascio così alle spalle la città per addentrarmi nella selva venezuelana.
Arrivato in prossimità della comunità devo ammettere che sono rimasto un po' deluso: le capanne in paglia che avevo sempre visto nelle foto esposte nella biblioteca di Ciudad Bolivar, erano state da tempo sostituite con delle casupole in cemento, piccole e sistemate ad intervalli regolari una dall'altra. Gli indios vestivano indumenti moderni ed il quesique Pedro mi si presentò con un bel paio di occhiali Ray ban..
Rispetto agli altri incontri che ho fatto durante il viaggio con comunità indigene (vedi post: Tekoa Koenjn, Il cuore della musica e Amazzonia... e gli indios? ) questa è stata sicuramente quella che si avvicinava di più ad uno stile di vita del tutto occidentale.
Poco male, la comunità "Mata de Tapaquire", costituita nel 1783, conserva ancora gelosamente alcuni antichi rituali, musiche e usanze indigene. Conosco Karina, una indigena molto graziosa e simpatica, estroversa e aperta al confronto, che mi porta a spasso per la proprietà della comunità facendomi vedere i campi dove si coltiva la mandioca e i laboratori dove si prepara una specie di focaccia quasi senza sapore usata al posto del pane.
Per la sera il quesique ha organizzato una specie di festa per il mio benvenuto e così Karina, dopo un po', mi lascia per andare a prepararsi e radunare il corpo di ballo. Lei infatti nella comunità fa l'educatrice e insegna ai bambini le antiche tradizioni della sua etnia e i canti e i balli.
Si tratta del Mare Mare, un genere che arriva dai lontani parenti di questa comunità ora interpretato anche con strumenti moderni come il Cuatro e la Bandola un tempo suonato con percussioni e flauti in legno. Il ballo invece pare sia rimasto immutato e tramandato nel tempo.
L'esibizione inizia dopo una riunione della comunità intera nella quale Pedro espone i piani economico-sociali dell'immediato futuro. Poi mi presenta alla comunità intera e mi fa spiegare alla folla il motivo della mia visita (tutti parlano e conoscono lo spagnolo); poi si dà il via alle danze. Purtroppo la scarsissima illuminazione della capanna dove si è svolta la festa non mi ha permesso di documentare bene questo momento, ma il ballo del Mare Mare è un ballo di gruppo in cui passi sincronizzati e piuttosto semplici creano dei cerchi, delle righe e delle file tra i partecipanti.
La festa viene improvvisamente spezzata dall'arrivo di una vera e propria tempesta che ha lasciato il villaggio al buio per diverse ore. Io vado a ripararmi nella casa del quesique con tutta la sua famiglia che già sta dormendo in comode amache. Parliamo un po' così della situazione della comunità e di lui. A differenza delle altre esperienze con i quesiques delle comunità che ho incontrato, Pedro si apre subito ad un dialogo confidenziale e intimo. Mi confessa di essere preoccupato per il futuro della comunità, sempre più preda della "civilizzazione moderna" che spesso, pur favorendo l'inserimento dei giovani nel settore lavorativo e culturale moderno, finisce per indebolire le antiche tradizioni dell'etnia e quindi la sua già instabile identità. Poi Pedro mi dice che solo una piccola percentuale degli abitanti della comunità conosce e parla l'antico idioma Kariña, e si tratta dalla generazione più vecchia e di quella più giovane. Infatti per molti anni l'idioma non è più stato usato, sostituito dallo spagnolo, e così la generazione di mezzo lo ha dimenticato. Oggi grazie a piani educativi proposti e gestiti dallo stesso Pedro, ai più piccoli viene insegnato il Kariña e la cultura tradizionale dell'omonima etnia. Pedro ha studiato all'università, da laureato ha ricevuto numerose proposte per impieghi importanti nella città, ma lui ha deciso di dedicare la sua vita ed il suo intelletto alla sua piccola comunità "Mata de tapaquire" per preservare i nobili valori e le tradizioni che i suoi genitori e i suoi antenati gli hanno insegnato. Pedro mi parla anche dell'importanza di "dover stare al passo con i tempi" e quindi di istruirsi, conoscere la tecnologia moderna, le tecniche di agricoltura ed economia ecc. "Si può benissimo restare indio assumendo uno stile di vita moderno, l'importante è non dimenticare di essere indio". Mi dice anche che Mare Mare in Kariña significa "Va e vieni"
Il mattino dopo, come piace a me, vado dai vecchi del villaggio a chiedergli di suonarmi e raccontarmi qualcosa: ne incontro uno che suona il cuatro, uno con la mandola e una simpaticissima vecchietta con la faccia stropicciata che canta le canzoni che le cantava sua mamma in Kariña. E' visibilmente emozionata quando canta e le tremano le mani (forse la mia telecamera l'ha intimidita. Quanto odio questi momenti). Più avanti però penso si sia emozionata al ricordo di sua mamma.
Nel video qui sopra, la donna sta improvvisando un testo in Kariña che parla proprio della perdita della tradizione e dell'estinzione della comunità; usa il corpo e fa dei gesti molto significativi durante l'esibizione, sembra ricordarsi i tempi lontani di quando la comunità era davvero unita e con una identità ben salda. I musici mi dicono che dopo di loro probabilmente nessuno più canterà queste canzoni perchè nella comunità nessuno sa suonare il cuatro o la bandola, o cantare, e sembra che nessuno abbia voglia di imparare. L'esperienza in questa aldeia non è stata sicuramente così "esotica" come le precedenti, ma grazie a questo alto livello di "civilizzazione" che in altre parole significa "apertura", ho potuto capire meglio molti aspetti che le altre comunità non mi avevano mostrato.
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Non mi sono dovuto spostare di molto per incontrare il genere che dà il nome a questo post, anzi a Sanare sono stati gli stessi musici che poco prima avevano celebrato il Tamunangue (vedi post: Tamunangue) ad esibirsi ora con questo genere sicuramente meno impegnativo. Si tratta del Golpe tucuyano o larense suonato dai "Golperos de Sanare" un gruppo che per l'appunto a Sanare, mischia da 37 anni la sua attività musicale tra il misticismo del Tamunangue e la leggerezza del Golpe. Nel piccolo paesino larense pare ci siano poche formazioni di questo genere e che tra loro non esista come spesso accade della rivalità di settore; al contrario, quando un componente di un gruppo non sta bene o non può suonare, viene subito rimpiazzato dal componente di un altro gruppo; tanto da queste parti tutti i musici conoscono bene le note del Tamunangue e dei più conosciuti Golpes, e questi due generi sono considerati dei momenti di festa più che delle esibizioni musicali. Due generi che viaggiano insieme, ma che poco hanno a che fare insieme: il Tamunangue come scritto nel post precedente è una celebrazione musicale sacroprofana in onore di Sant'Antonio, mentre il Golpe tucuyano o larense è considerato come el Joropo dello stato di Lara (vedi post: Il grido della musica). A differenza del Tamunangue, che viene eseguito solo in particolari giorni dell'anno o in occasione del pagamento di una promessa, il Golpe può essere interpretato tutto l'anno ed in tutte le occasioni. Questo genere così divertente e ritmato nasce ancora una volta dalla vita rurale e dal lavoro nei campi, quando un tempo (ma ancora adesso) i contadini alla fine della giornata si riunivano per passare qualche momento spensierato in compagnia, intonando canzonette che avevano logicamente a che fare con tematiche che riguardavano la natura, il lavoro e ovviamente e sempre, l'amore. Ciò che accomuna questi due generi sono gli strumenti utilizzati e il luogo dove vengono suonati. Tamunangue e Golpe tucuyano sono due generi che si possono ascoltare solo da queste parti, quindi è normale che alla fine del pagamento di una promessa o addirittura tra una fase e l'altra del Tamunangue ci si possa distrarre con un Golpe; come è successo in questo caso sul video che metto qui sotto: i musici hanno suonato sul cortile della casa dove si stava pagando la promessa, appena dopo aver finito il rituale del Tamunangue.
Gli strumenti utilizzati sono parte di quelli usati per il Tamunangue: cuatro, mediocinco, requinto, maracas coro e solista; in più troviamo il tamborcolgante (i tamunangos non vengono utilizzati; vedi sezione: strumenti). Parlando con i componenti del gruppo capisco che non è molto chiaro il fatto che il golpe sia un genere improvvisato o meno. Penso che la maggiorparte dei Golpes sia di repertorio, ma che non si escluda la possibilità di inserire nuove strofe o variazioni durante la esibizione. Quella dell'improvvisazione è una caratteristica che accomuna quasi tutta la musica venezuelana (vedi post: Unduetre Caraibi o Il grido della musica).
Il pezzo che avete ascoltato qui sopra si intitola "La Inteligencia de los animales". è suonato dal gruppo "Los Golperos de Sanare" con Luis Gerardo al cuatro, Orlando Colmenare al mediocinco, Hector Sangronis al requinto, Aurelio Colmenare al tambor colgante, Euquerio Godoy alle maracas. Tratta ovviamente di tematiche riguardanti gli animali ed è una divertente sorta di indovinello:
IL TESTO
El no vee television (lui non vede televisione)
y tampoco escucha radio (e tantomeno ascolta la radio)
tampoco carga relojo (nemmeno carica un orologio)
pero canta con horario (però canta in orario)
que serà compadre?? es el gallo (che sarà compare?? è il gallo)
Repica como un telefono (suona come un telefono)
suena como un capachero (suona come un capachero)
cuando esta hacendo la casa (quando si sta costruendo la casa)
no queda ny el estillero (non lascia nemmeno una scheggia)
que serà compadre?? es el pajaro carpintero (che sarà compare?? è il picchio)
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Mi trovo nello stato di Lara, a nord est del Venezuela. Arrivo al mattino presto nella capitale Barquisimeto, una piccola metropoli di rovente cemento. Lascio in fretta il caotico e rumoroso centro per trasferirmi in una zona decisamente più affascinante e tranquilla, chiamata "El Manzano", una collinetta verde ai margini della città distante da rumore e nervosismo, dove al mattino il canto di centinaia di differenti specie di uccelli mi avvisa che il sole sta sorgendo.
Qui ad aspettarmi ci sono Sara, Saul e Samir Rodriguez, una famiglia di artisti capaci di produrre splendidi oggetti di artigianato e curiose sculture in terracotta. La casa è amena quanto il loro lavoro.
Barquisimento vanta l`attributo di "città più musicale del Venezuela" . Sono venuto proprio qui per ascoltare un genere venezuelano molto particolare, il "Golpe Tucuyano", considerato uno dei più rappresentativi del Venezuela.
Il mio contatto arriva dalla tappa precedente, quando al concerto di Chiguarà (Merida, vedi post: Alla ricerca del violino perduto), conosco i componenti del gruppo "Golperos de Sanare" che mi invitano a fargli visita.
Sanare è un piccolo paesino situato fra le basse montagne dello stato Lara. È conosciuto per la sua musica e per i suoi bellissimi fiori.
Al mio arrivo vengo accolto con una sorpresa: Luis Gerardo è il cuatrista del gruppo e mi informa che proprio oggi nella casa di un campesino ci sarà un Tamunangue. Sinceramente io del Tamunangue non sapevo quasi nulla, avevo solo sentito parlarne vagamente da qualcuno a Barquisimento.
Luis colma in breve tempo la mia lacuna musicale spiegandomi le caratteristiche più peculiari di questo, che poi diventerà uno dei generi che più ho apprezzato in terra venezuelana. Il Tamunangue è una celebrazione musicale religiosa e pagana in onore di Sant'Antonio da Padova.Più che un genere è un rituale musicaleche si esegue specificatamente ogni 13 luglio, ma anche in altre occasioni e momenti dell`anno, con la funzione di rito propiziatorio per il raccolto o, come in questo caso, come pagamento di una promessa al Santo. Ancora una volta incontro nel viaggio un genere musicale che viene associato al culto di un Santo cristiano (vedi post: Bumba meu boi e Alla ricerca del..).
Ci avviciniamo alla casa della promessa, e Luis mi confessa di non conoscere il motivo di questo Tamunangue. Si stanno facendo gli ultimi preparativi e parenti, amici e musici si sistemano nel cortiletto posteriore dell`umile abitazione. L`atmosfera è un misto tra festa, mistero e aspettativa. Tutti mi accolgono con grande gentilezza, ma in questo caso mi sento più intruso che mai, vista la situazione molto intima del rituale, e visto che non mi è mai piaciuto documentare con video e foto una celebrazione che ha a che fare con aspetti religiosi. Questa sensazione però durerà poco, sedata dalla cordialità e dall`accoglienza che solo un venezuelano può dimostrare. Conosco il padrone della casa che è anche colui che deve pagare la promessa: si tratta di suo figlio, che ha una grave malattia che non gli permette di camminare. Sembra però che il male sia migliorato e quindi è arrivato il momento di pagare la promessa.
In una parete è appoggiato un piccolo altare sul quale è sistemata una statua di Sant'Antonio da Padova. L`altare è adornato con molti fiori, una candela ed un bicchiere d'acqua. Si dà fuoco a dell`incenso in un secchio di latta e si comincia a recitare un lungo rosario.
Non c`è nessun prete, ma il rosario è "guidato" dal più anziano fra i presenti, che annuncia i santi da ringraziare. Dopo questa fase del tutto uguale ad un rituale cattolico, un gruppo di musici con cuatro e di cantori si sistema in semicerchio di fronte all`altare e comincia ad intonare un lungo "Salve", un canto somigliante ad un lamento, la seconda fase religiosa del Tamunangue. Comincio a pensare di esser capitato in un comune rituale di ringraziamento al Santo, tramite qualche preghiera e canzone di chiesa, ma mi sbaglio di grosso: i tamburi che sono sistemati ben in vista vicino all`altare spezzano la monotonia e l`atmosfera di devozione. Si tratta dei "tamunango", da cui deriva il nome del rituale, che sono dei tamburi di chiare origini africane del tutto simili (anche nel modo di suonarli) a quelli che avevo trovato a San Luis in Brasile, utilizzati per il genere "Tambor criollo" (ascolta la puntata n. 17 di Radio Vita). Quando termina il "Salve" si dà inizio alla parte più pagana del Tamunangue; i musici indossano il loro tipico cappello larense prima messo da parte, i tamunangos vengono portati al centro del cortile, distesi per terra di fronte all`altare, poi si apre una bottiglia di forte whisky e comincia la vera festa.
Il Tamunangue è suddiviso in sette momenti: la bella, la juruminga, el yeyevamos o chichivamos, el poco a poco, la perrendenga, el galerón e el seis por ocho o seis figurato. Prima però si esegue un pezzo indipendente, chiamato Batalla, dove i ballerini simulano una forma di combattimento con dei garrotes: strumenti dalle incerte origini africane o indigene.
Pare che questo pezzo si esegua solo quando si paga una promessa. Luis mi dice che serve per chiedere il permesso a Sant. Antonio di fare un Tamunangue. Il rituale continua e tra una fase e l'altra, musici e ballerini si riposano, conversano, scherzano, mangiano e bevono, e la festa si fa via via sempre più animata. I danzatori all´inizio e alla fine dell'esibizione si inchinano davanti alla statua di Sant'Antonio. Il bambino, oggetto della promessa, passa tra le braccia dei genitori e dei ballerini e danza così insieme a loro per ringraziare il santo. I sette momenti sono interpretati da un ensemble di cuatro, cinco, mediocinco, requinto, tambor colgante, maracas e voci (vedi sezione strumenti). E' molto interessante l´interazione tra musici e ballerini: tra i cantori c`è un solista che, improvvisando, suggerisce ai danzatori le azioni che devono mimare o simulare, così da far sembrare lo spettacolo una sorta di pantomima musicale. Il video qui sotto fornisce una chiara idea di quest'ultimo particolare del Tamunangue.
Si tratta della Juruminga, il terzo momento del rituale: è formato da un verso cantato dal solista e un ritornello del coro che dice sempre la parola "cojela". I danzatori devono interpretare mimando con il corpo e "los garrotes", tutto quello che il solista dice loro di fare. Solitamente l'argomento sul quale si improvvisa riguarda il lavoro nei campi, la semina, il raccolto, il corteggiamento della dama e aspetti che hanno a che fare con la vita campesina.
Il rituale può durare anche più di 4 ore, dipendendo dalla lunghezza dei brani e da quella delle pause tra i vari momenti. Il Tamunangue si conclude nello stesso modo di come è iniziato: con un lungo rosario nel quale si ringrazia Sant'Antonio e vari altri santi.
A Sanare ho partecipato a due Tamunangue in soli due giorni. Ho parlato a lungo con musici, paganti della promessa e semplici invitati, sull'importanza di questo rituale, e ho cercato di osservare e capire il più possibile, cercando di non farmi influenzare da giudizi e pregiudizi personali o impersonali. La cosa che mi ha più stupito è il grado di fede che possiede questa gente. Qui si fa tutto in onore ed in nome di Sant'Antonio da Padova. Parlando con un musico ho scoperto che, almeno qui a Sanare, la Chiesa cattolica non approva molto questa tradizione, considerandola come un rituale profano che utilizza santi e mezzi cattolici o come una forma di preghiera che non impiega certo dei canoni cattolici. La leggenda narra che Sant'Antonio da Padova per portare la parola di Dio agli indios, suonò per tre mesi i tamburi, dopo questo periodo smise di farlo e gli indios, essendosi abituati al suono, corsero in direzione del Santo per vedere cosa fosse successo; fu in questo momento che Sant' Antonio predicò la parola di Dio. Bisogna considerare però, che il Tamunangue ha salde radici africane; testimoni sono i principali strumenti con il quale si suona, los tamunangos. I musici mi raccontano che in passato questo era un rituale prettamente africano che con il tempo ha incluso caratteristiche cristiane e strumenti e usanze venezuelane. Durante l'epoca coloniale e quella dell`evangelizzazione era usanza degli schiavi africani continuare a professare la propria fede "vestendo" i propri santi (oricha) con parvenze cristiane in modo da eludere i profeti. Ecco che Sant'Antonio da Padova era l`Oricha chiamato Elegguà, dio del cammino e capo del destino. Oltre a camuffare i propri santi, gli schiavi mescolavano i rituali cristiani con i propri formando così nuovi tipi di religioni e fedi (Vedi ad esempio post Candomblè). Durante il mio cammino e soprattutto in terra brasiliana, dove la presenza e l'influenza africana sono più forti che in altre zone, ho visto molte volte riproduzioni di santi cristiani con pelle nera.
Aver partecipato in questo cammino a numerosi rituali musico-religiosi tanto ameni quanto differenti tra loro, mi ha mostrato quanto l'opera di evangelizzazione cristiana da queste parti abbia stravolto, influenzato e riformato antiche culture religiose ed umane. La colonizzazione, con l`apporto forzato di razze differenti in zone a loro estranee, ha creato una mescolanza culturale che ancora oggi mostra i suoi risultati e dà i suoi frutti attraverso manifestazioni così eterogenee e particolari come il Tamunangue che, sebbene praticate in piccoli ed isolati angoli di mondo come la città di Sanares, racchiudono in sé le culture di mezzo mondo.
Molti sono stati i racconti su miracolose guarizioni di casi disperati attraverso la venerazione a Sant'Antonio e al suo Tamunangue. In Brasile però sentivo gli stessi racconti associati al culto di altri santi o orichas e alla pratica di altri rituali. Non posso certo sapere se questi cosiddetti miracoli siano il regalo di santi o entità sovraumane, o abbiano una spiegazione nientemeno che scientifica, l`unica cosa che mi sembra di aver capito dopo queste esperienze, è che a volte la forza della fede in qualsiasi sua forma e per qualsiasi forma, supera ogni spiegazione razionale o irrazionale. RINGRAZIAMENTI: Famiglia Rodriguez: Saul, Sara, Samir; El grupo "Los golperos de sanare" Luis GerardoPer altre foto / Para ver outras fotos / Para ver otras fotos, CLICCA QUI. Per vedere gli articoli precedenti clicca su "STORICO" / Para ver outros artigos clica "STORICO" / Para ver otros articolos "STORICO"
Il cammino della musica prosegue per Merida, bellissima città coloniale capoluogo dell`omonimo stato venezuelano situato all'inizio (o alla fine) della Cordigliera Andina. Paesaggi e fisionomia delle persone sono totalmente differenti da tutto ciò che ho visto e visitato fin'ora. Tra le vette di queste montagne imponenti si trovano bellissimi quanto improbabili paesini arrocati sulle rocce, dove il folclore e la musica tradizionale sono ancora molto forti.
In questa Regione sono venuto alla ricerca più che dalla sua musica dello strumento che più lo identifica: il violino. Insieme ad arpa, cuatro, maracas, bandolina, rayo, bumbac, il violino completa la panoramica degli strumenti più rappresentativi del Venezuela. Nonostante l`importanza di questo strumento in questa zona, trovarne uno non è stato poi così facile. A Merida, per una serie di sfortunate coincidenze, non ho avuto modo di incontrare i pochi contatti che avevo. Ho dovuto così muovermi alla ricerca dello strumento in altri paesini distanti dalla città (non che mi sia dispiaciuto farlo). La ricerca quindi comincia nel pueblito di Tabai, a una ora da Merida: il piccolo e grazioso paesino ha in programma per la sera un concerto campesino al quale mi ha invitato ad assistere l`assessore alla cultura di Tabai, Hector Arianna. "Suoneranno tre gruppi locali, con violino ovviamente". Arrivo così a Tabai nel mezzo di un caldo pomeriggio. Nella piazza Simon Bolivar (tutte le città del venezuela hanno una piazza così chiamata) la voce di uno degli organizzatori avverte interminabilmente, con un megafono, gli abitanti del piccolo pueblito dell`avvenimento della serata, ed invita tutti a parteciparvi. Chiedo a Hector per quale motivo sia necessario reiterare così tanto tale avviso, considerate le minuscole dimensioni del pueblito, ed il fatto che le locandine sono appese dappertutto. "I campesini sono molto timidi e riservati ed è difficile raggrupparli per assistere ad un concerto... se non facciamo così va a finire che si sparpagliano tutti nella piazza e lasciano i posti preparati davanti al palco vuoti". Il concerto dovrebbe cominciare alle sette, ma a quell`ora nessun gruppo si è ancora presentato. "È normale!" mi avverte Hector "I musici campesini, non si considerano dei veri musici. Lo fanno così per passatempo, e per loro suonare in un concerto non è un avvenimento tanto importante, e così venire o no è la stessa cosa... Una volta ho organizzato un concerto al quale dovevano partecipare sette gruppi; alla fine hanno suonato tutti, ma sono arrivati in extremis". Questa volta però le cose andranno diversamente: di tre gruppi se ne presenterà uno solo e.. senza violino. Hector non sembra per nulla preoccupato, si limita solo a fare una smorfia di leggera rassegnazione. Il gruppo arrivato è "Los Azabaches" (Azabache è un amuleto che viene dato ai bambini per difenderli dal malocchio); in due minuti montano gli strumenti e sono pronti per suonare. Manca però el maraquero, che è in ritardo. Hector chiede loro di cominciare ugualmente perchè il pubblico comincia a spazientirsi. Comincia così il concerto con la formazione incompleta, il maraquero arriverà poco dopo e si introdurrà nel suono con aria totalemente indifferente. Non hanno il violino, ma suonano la musica tipica di queste parti: il Merengue Campesino (ascolta il collegamento con Radio Vita alla Puntata N. 28) con due chitarre, cuatro, charranga e maracas. La partecipazione del pubblico è entusiasmante. Tutti ballano, cantano ed esultano in una atmosfera di vera festa paesana. Mi chiedo dove sia nascosta la timidezza di cui mi parlava Hector. Alle dieci il gruppo finisce di suonare, ma la folla esulta e pretende i bis.
La ricerca continua per un altro paesino improbabile del Estado di Merida, chiamato Chiguarà, dove è previsto un grande concerto in occasione della "Feira de los sueños" (festa dei sogni). Si esibiranno gruppi locali ed internazionali. Nel giorno che segue il concerto, incontro uno dei gruppi campesini, però anche in questo caso il violinista è misteriosamente scomparso. Poco male, conosco Elio, chiamato El Grillo, campesino, compositore e coplero che con il suo gruppo mi suona un paio di Merengue venezuelani e guarachas (genere colombiano). Poi una magnifica canzone campesina che è possibile ascoltare alla 28ª puntata di radio Vita.
Il terzo tentativo è a San Raffael del Paramo de Mucuchie,paesino andino situato a 3142 metri sopra il livello del mare, la città più alta del Venezuela, un posto incantevole. L`aria è fresca e rarefatta, il paesaggio incantato e il popolo ha carnaggione olivastra e nasi grandi. Il nome "Mucuchie" deriva dall`etnia indigena che abitava la zona del fiume Chama. Incontro il "Grupo Folklorico San Rafael del Pàramo" che mi accoglie con gentilissima riverenza nella bella sede del gruppo: una casina in legno e mattoni con muri spessi più di mezzo metro, tipica di un paesaggio montano. Sulle pareti sono appesi tutti gli strumenti venezuelani e finalmente... il violino!!. Il gruppo composto da Isaac Milano Ramirez (violino), Manuel Torres Castillo (cuatro), Johandry Lacruz Moreno (chitarra), Antony Castillo Santiago (maracas, tambor) Edwin Montilva Sulbaran (direttore), indossa abiti d'epoca, "I vestiti di quando i nostri nonni andavano alla chiesa la domenica". Passiamo tutta la serata insieme. Mi spiegano a suon di musica i ritmi delle canzoni folkloriche di San Rafael, il più delle volte utilizzate per celebrare festività e santi cristiani.
La canzone nel video qui sopra è intitolata "El Tropezon" e si tratta di un Joropo Andinoche viene suonato in occasione de "La vuelta del Gallo" una danza e una festa tradizionale pagana del Estado Merida che imita il corteggiamento del gallo. Il Joropo Andino differisce da quello Llanero (vedi post: Il grido della musica) in quanto sostituisce l`arpa con il violino. Il genere arriva dalla zona llanera alla zona andina, grazie agli scambi commerciali del passato tra lo stato di Merida e il confinante Barina (vedi mappa Venezuela ). L`MP3 qui sotto è un Merengue Venezuelano intitolato "Baile de la Reina", interpretato dal Gruppo Folklorico San Rafael del Paramo. Questo pezzo è comunemente suonato in occasione di una festa che celebra San Benedetto del Moro, il Santo a noi familiare, protettore degli schiavi. Tra tutte le feste, questa è la più importante e con la quale si esprime meglio l`anima musicale di San Rafael. È chiamata "Los giros de San Benito de Palermo", cade la seconda domenica di gennaio con processioni musicali per tutto il paesino. Viaggiando per il Latino America, molte volte ho incontrato generi e manifestazioni musicali associate al culto di San Benedetto, per il quale molti fedeli fanno una "promessa al Santo", che viene pagata con una festa (vedi ad esempio post Bumba meu boi). Presenta: Isaac Milano Ramirez.
Il Merengue è un genere originario Della Repubblica Dominicana, nato intorno alla metà del XIX sec. dal risultato dell`influenza della cultura spagnola con quella afroamericana. È però molto difuso in tutto il Centro America e in Venezuela, Colombia, Ecuador, Panama. In Venezuela questo genere assume inoltre sfumature differenti in base alla zona dove viene suonato. All`isola Margarita per esempio viene suonato con un ritmo di 5/8 e con bandolina, cuatro, maracas, tambor. Qui a Merida ho trovato un Merengue suonato in 3/8 con due chitarre, guiro, cuatro, maracas, tambor. Il Merengue cosiddetto "Campesino" deriva dalla musica dell`alta società, riadattata dai campesini con strumenti, linguaggi, testi e cultura regionale propri. All`interno dello stesso Paese quindi possono esistere differenti tipi di Merengue. Solitamente, quando un genere subisce una trasformazione tale da fargli cambiare cellula ritmica, dovrebbe cambiare anche il nome. Il termine Merengue,quindi, in Latino America indica,più che un genere musicale, un'identità nazionale.Per altre foto / Para ver outras fotos / Para ver otras fotos, CLICCA QUI. Per vedere gli articoli precedenti clicca su "STORICO" / Para ver outros artigos clica "STORICO" / Para ver otros articolos "STORICO"
Guarico, il cuore del Venezuela, regione delle vaste pianure venezuelane e delle lievi montagne preandine. Questa zona, qui chiamata “Llano”, ha una musica propria che declama con la sua semplice spontaneità le bellezze e le caratteristiche di una naturale vita rurale.
La tappa rappresenta per me un appuntamento atteso fin dal primo giorno del mio ingresso in terra venezuelana, quando l´attenzione venne attirata da un grido allegro e prolungato che risuonava energico tra le casse dallo stereo di un negozio di musica: era il grido della Musica llanera.
Mi trovo a San Juan de los Morros, capitale del Guarico e piccola città caratterizzata da curiose formazioni montuose che la circondano: Los Morros, per l´appunto.
Ad attendermi qui c´è Hector Araguaynamo, Direttore dell´Orquestra Filarmonica de Guarico, che mi accompagna alla Casa de la cultura de San Juan de los Morros, dove incontro il direttore Jesus Toledo. Tutto è già pronto per il mio arrivo: i musici mi stanno aspettando in una bella stanza della scuola armati di arpa, cuatro, maracas e.. polmoni. I primi tre strumenti rappresentano lo “stereótrio” della cultura musicale venezuelana: arpa, cuatro e maracas.
L´arpa la avevo già ascoltata in Paraguay (vedi post: Parentesi paraguaya). Tuttavia in questa zona lo strumento presenta delle caratteristiche differenti. L`arpa llanera, rispetto a quella paraguaya, ha dimensioni più piccole e 32 corde in nailon. L’energia dell´esecuzione però è la stessa.
La Musica Llanera si identifica con elJoropo. Jesus mi spiega però che el Joropo non è solo un genere musicale, ma è molto di più: “El Joropo è una festa campesina, è un modo di essere, è l´essenza del Llano” possiamo quindi dire che siamo in presenza più che di un genere, di una filosofia musicale. Anticamente infatti il termine “Joropo” era stato usato dai campesini venezuelani in sostituzione del termine spagnolo “Fandango”, che indicava proprio una festa o una riunione sociale. Come in tutte le musiche e le feste popolari, il ballo è d´obbligo, e quello del Joropo è veramente particolare.
Enrique Cuenca è un coplero (cosí vengono chiamati gli interpreti della Musica Llanera) di San Juan. Nominato “Talento vivo de Venezuela” è vincitore di numerosi concorsi musicali, e tra parranda y trabajo (festa e lavoro), se la passa cantando dall’età di 10 anni. Non ha studiato musica, ma la caratteristica di questo e di tutti i musicisti campesini, è proprio quella di essere dei talenti naturali, distanti dalle leggi matematiche musicali, che cantano e suonano “ad orecchio”, per tradizione e per una semplice questione di pura normalità dell`atto. Per loro fare musica è la stessa cosa che mungere una vacca. Ed è proprio a questo mestiere che si ispirano le numerose Tonadas (variante del Joropo) che Enrique mi ha cantato durante tutta la giornata trascorsa insieme a San Juan. “La Tonada è una canzone che si canta alla vacca per rilassarla quando la si munge. Rappresenta il canto criollo, la forma di espressione del tipico llanero che canta all`alba quando comincia a lavorare nel campo, nel momento del riposo, o al tramonto, ispirato dal paesaggio llanero” e ancora: “La Tonada imita il pianto del vitellino che sta chiamando la mamma, e al richiamo della vacca che sta cercando il figlio” come dice il testo di questa Tonada, che racconta la storia di un vitellino perduto. (Potete ascoltarla su Radio Vita cliccando la "puntata N. 27")
La luna con su lucero
Muy triste me ven pasar
Cavalcando entres las sombras
Con ansia locas me ven pasar
Sube la cuesta
Tinto por el atajo de la quebrada
Corre por el camino que ya mi madre
Aguardando esta
Las risas de la pampa
Conbense a ella para montar
Que el surranchito (casa rural) triste
Ya la alegria va a retornar
La Tonada è anche una canzone romantica che lo llanero dedica alla sua sposa, comparandola con le bellezze floreali del luogo. La quotidianità è ancora una volta l´ingrediente principale di una forma musicale latinoamericana. La Musica llanera parla e grida della sua terra, racconta le leggende dei suoi personaggi storici, trasmorma in allegria la fatica del lavoro nei campi.
Il pezzo qui sotto è un allegro ed energico Joropo Seis por derecho, cantato da Justo Villalobos e suonato da José Bracho (arpa llanera) Tulio Bracho (cuatro) Ibraim Herrera (maracas) José Lima (basso elettrico). Il Seis por derecho è solo uno fra i 40 tipi di ritmo di Joropo. È un movimento rapido e ritmo ternario. Il suo parente più stretto è il Passarillo, che è suonato in tonalità minore. Il Joropo viene suddiviso in tre grandifamiglie in base alla zona dove viene suonato. Il Joropo llanero (quello nel video sopra) considerato come il più “forte” del paese, il Joropo Tuyero o central ed il JoropoOriental. Il Seis por derecho è facilmente riconoscibile dal lungo vocalizzo iniziale che esegue il cantante; poi è un infinito susseguirsi di versi in rima; È formato da due parti uguali: si inizia con il caratteristico vocalizzo, si esegue una prima serie di versi che seguono la stessa figura melodica, poi se ne esegue una con ritmo più serrato e cantilenato, per concludere con un verso unico che deve “giustificare” tutto quelo che si è detto prima. Poi, dopo un assolo virtuoso di arpa, si ricomincia allo steso modo. I versi sono per metà “di repertorio” e per metà improvvisati, come in questo caso, dove Justo Villalobos ha voluto dedicare a me e all'Italia tutta un saluto soberano .
IL TESTO (Un particolare ringraziamento per la traduzione a Nelson Camacaro e Nelly Rojas )
Joropo de la llanura de nuevo llego´ el vaquiano
Aquel que le canta el verso
A los confine lejanos
Acercate un momentico ven que cae de la mano
Para que le llegue el mensaje
A los paises hermano
Y digan que conseguio´ fuerza y luz
que estan lejana chevere contra el valiente
ese que vive en el llano
donde se mira el cavallo donde se mira el ganado
donde los aleros pisen
meinzanito de vaquiano
escucha mi hermano Andrea
del pais tan lejano
y lo que deben un saludo
al hermano italiano
para que sepa honrar
al pueblo venezuelano
y usted que vas a gravar
dependiendo como hermano
cantando musica lanera
a los paises mas ….
a los que escucha este grito
este grito soberano
onde la carta marancha
poco a poco improvisado
Por eso es lentamente
…………………
Vamos a seguir palante
Con estilo soberano
Esta es la tierra de simon
A quel humilde vaquiano
El que liberto´ esta patria
Con el escudo en la mano
Luego diste una bandera
Y por ello nos pellamos
Por eso quiero que vayas
Hasta el pais italiano
Y reciba un gran abrazo del pueblo venezuelano.
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Il cammino riprenderà da qui, dalla città che ha premiato il progetto (vedi post sotto: PATROCINIO): Ciudad Bolivar, capoluogo dello stato Bolivar del Venezuela, città storica, da poco restaurata e bellissima agli occhi di un italiano abituato a tutti questi antichi edifici. Dico così perchè pare che i venezuelani preferiscano le città più moderne e comode, come ad esempio la vicina Puerto Ordaz (vedi post: Venezuela...e già Caraibi?). La città fu chiamata così in onore di Simon Bolivar, figura di notevole importanza nella storia dell'indipendenza latinoamericana, e che fece qui il "Discorso di Angostura" (1819), nel quale annunciò la nuova Costituzione. Nella metà del Settecento però la città si chiamava "Nueva Guayana de la Angostura del Orinoco" a causa della sua posizione situata nel punto più stretto (angosto significa appunto "stretto") del Rio Orinoco, il fiume più grande del Venezuela. Importante fu anche per la presenza, nelle sue vicinanze, del primo ponte (il ponte Angostura) che unì lo Stato Bolivar con il resto del Paese. Solo da poco è stato inaugurato il secondo ponte a Puerto Ordaz. Questa città ricca di storia e vicende politiche che hanno determinato il futuro del nord del Latinoamerica sembrava essersi dimenticata di poter vantare anche una tradizione musicale propria. "Ero stanca di sentir dire che Ciudad Bolivar non avesse nessuna radice musicale, per questo ho cominciato a ricercare, valorizzare e preservare l`identità guayanesa, delle rive dell`Orinoco e della pietra più antica del Paese: il Massiccio Guayanese". Parole di Mariita Rodriguez, patrimonio culturale vivente di Ciudad Bolivar. Assieme ad un gruppo di musici e ricercatori dà vita nel.... alla Fondaciòn Parapara. È proprio qui nella sede della fondazione che lei ed il suo gruppo mi spiegano a suon di musica le tradizioni più importanti di questa bella città, come ad esempio quella del gioco che dà il nome alla fondazione: il Parapara è un seme che deriva da un albero che cresce da queste parti, chiamato Paraparo. Viene utilizzato in medicina, in artigianato, in restauro, in lavanderia, in cucina (deve essere cucinato se no è velenoso) e in gioco.
Mimina Rodriguez Lezama, una famosa poetessa di Bolivar, scrive: "La parapara è un raro elemento vegetale di profonda simbologia tradizionale, di rituale trascendentale nel realismo magico di guayana". Il gioco si chiama Quiminduñe: si tratta di indovinare la quantità di semi di parapara che l`avversario nasconde nella mano per vincere la quantità di semi corrispondente. Tutto con divertenti formule e filastrocche e un mare di varianti, come si può vedere nel video qui sotto dove il gioco funge da preludio a questa "Guasa" appunto intitolata Quiminduñe...
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La Guasa sembra quindi essere il genere tradizionale di Ciudad Bolivar. Dico "sembra" perchè sono ancora aperte le diatribe tra chi rivendica questa proprietà e chi invece dice che la Guasa guayanesa addirittura non esista. Per alcuni si tratta di un Calipso (vedi post: Venezuela e...già Caraibi?) più lento. Mariita sostiene che la Guasa "È una fusione di Calipso con merengue venezuelano, il cui creatore è Alejandro Vergas" e aggiunge anche un po` di "ritmo negro manomesso" perchè Alejandro Vargas era discendente di un africano. Sta di fatto che la Guasa mantiene la stessa figura ritmica di Calipso e Merengue. La differenza, secondo me, sta nell`impiego degli strumenti utilizzati: cuatro, guitarra, tambor, rayo guayanese e nell`esecuzione con coro. Inoltre i testi parlano guayanese e trattano argomenti ben differenti da quelli del Calipso e del Merengue. Tuttavia bisogna far presente che tutti i generi latinoamericani sono "derivati" di altri generi e ritmi mischiati insieme, come le culture e le etnie di questo grande frullato di umanità che è il Latinoamerica; quindi anche io sono dell`opinione che la "GuasaAlejandrina" ha tutte le carte in regola per esistere come specifico genere musicale tradizionale. Mariita conosce Alejandro quando era bambina e cantava nel palcoscenico delle radio locali!!! Lui era analfabeta, ma intratteneva per ore gli ascoltatori della radio dalla quale trasmetteva il suo programma "Alejandro Vargas y sus Guasas" . Dopo la sua morte (1980 più o meno) Mariita si è impegnata a raccogliere tutte le sue opere e a cantarle con il suo gruppo Parapara. Alcune Guasas sono oggi grandi successi da queste parti e tutti le conoscono e le canticchiano. Il gruppo Parapara si impegna a tramandarle, preservarle e rinfrescarle con arrangiamenti contemporanei. I testi trattano per lo più della flora e fauna locali (come del resto la maggiorparte dei generi sudamericani) o narrano avvenimenti occasionali, come ad esempio la mia visita. Questa caratteristica di omaggiare con una canzone la visita di uno straniero sembra far parte del carattere venezuelano sempre altamente cordiale ed accogliente come pochi.
La Guasa che metto qui sotto si intitola "El Valenton" che è un saporito pesce tipico del Rio Orinoco. Il testo, strofa e ritornello con coro, invita tutti i presenti a condividere questo momento di allegria fatto di elementi, cibi ed usanze tipicamente bolivariane.
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